Presidente Romis – Relatore Iannello
Fatto
1. M.I. e P.A. erano tratti a giudizio avanti il Tribunale di Oristano, sezione distaccata di Macomer, per rispondere del reato p. e p. dagli artt. 113 e 589 cod. pen. loro ascritto per avere – il primo quale amministratore unico della società cooperativa “Costruire 2002” cui era stata commessa in appalto l’esecuzione di finiture interne di un appartamento su due piani compreso in uno stabile sito in (omissis); il secondo quale responsabile dei suddetti lavori – cagionato, per colpa generica e specifica, consistita nell’inosservanza delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, la morte del lavoratore L.A.M. . Secondo la descrizione del fatto contenuta in imputazione, quest’ultimo, il (omissis), salito al primo piano dell’appartamento, per eseguire i lavori cui era addetto, perdeva l’equilibrio e, a causa dell’assenza di parapetto e di altri presidi di sicurezza, precipitava al suolo da un’altezza di 4 m riportando gravissime lesioni che ne determinavano due giorni dopo la morte.
Si contestava in particolare:
– al M. , la violazione degli articoli 10, 16, 24 d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164, e 2 d.lgs. 14 agosto 1996, n. 493, per avere:
omesso di dotare il L. , impegnato in lavori di intonacatura ad un’altezza superiore ai 2 m, di idonea cintura di sicurezza;
omesso di dotare la passerella e le andatoie, poste ad altezza superiore ai 2 m e aperte verso il vuoto, di idoneo parapetto;
omesso di fornire il cantiere edile di idonea segnaletica di sicurezza, con indicazione relativa ai possibili rischi e alle prescrizioni necessarie ai fini della sicurezza;
– al P. , la violazione dell’art. 5, comma 1, lett. a) e f) d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, per avere:
omesso di verificare con opportune azioni di controllo e coordinamento le disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;
omesso di sospendere le lavorazioni di intonacatura fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti da parte dell’impresa esecutrice dei lavori.
2. Con sentenza del 3/2/2011 il Tribunale dichiarava M.I. e P.A. responsabili del delitto loro ascritto.
Secondo la ricostruzione operata dal primo giudice la mattina del (OMISSIS) il L. , muratore dipendente dell’impresa appaltatrice, mentre stava lavorando all’interno dell’immobile, operando in particolare nel ballatoio che dal primo piano si affaccia su uno dei vani del piano terra, parzialmente privo del parapetto di protezione, cadeva da un’altezza di circa 4 m riportando, come detto, gravissime lesioni con esito letale; era stato altresì accertato che, al momento dell’infortunio, la vittima non aveva la cintura di sicurezza, la quale non fu neppure ritrovata sul posto, ma risultava conservata, insieme ai cartelli alla segnaletica, in un deposito a oltre 1 km di distanza dal cantiere.
Negate le circostanze attenuanti generiche, il Tribunale condannava pertanto ciascuno degli imputati alla pena (sospesa) di anni due di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali. Entrambi erano, altresì, condannati al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore delle costituite parti civili, a ciascuna delle quali era assegnata una provvisionale di Euro 10.000.
3. Interposto gravame dagli imputati, in punto di affermazione della penale responsabilità e in relazione al diniego delle attenuanti generiche, la Corte d’appello di Cagliari, con sentenza del 21/2/2013, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riconosciute ad entrambi le attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante contestata, riduceva la pena inflitta a ciascuno di essi a un anno e sei mesi di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata.
3.1. A fondamento del confermato giudizio di penale responsabilità del M. , la Corte svolgeva le osservazioni qui di seguito sintetizzate:
– in base alle prove testimoniali raccolte doveva ritenersi acclarato che, il giorno dell’infortunio, si sarebbe dovuto procedere all’intonacatura del solaio del più alto vano al pianoterra (quello sul quale si affacciava, dal primo piano, il ballatoio prima descritto), per raggiungere il quale era previsto il completamento del ponteggio già in parte allestito;
– in previsione della sopraelevazione di tale ponteggio era stato rimosso l’argano a bandiera che, nei giorni precedenti, era stato utilizzato per salire, dal piano terra al primo, attrezzature e materiale per l’intonacatura delle pareti: argano collocato proprio nel varco anzidetto del ballatoio che, proprio per questo, risultava sprovvisto di parapetto;
– circa la materiale esecuzione e la data dello smontaggio dell’argano, le dichiarazioni dei due testi, A. e O. , anch’essi dipendenti della società appaltatrice sottordinati al L. , risultavano poco puntuali e intrinsecamente divergenti nell’attribuirne l’iniziativa a quest’ultimo (che nessuno dei due comunque vide procedervi materialmente) e smentite, sul fatto che vi si provvide il giorno stesso dell’infortunio, dal mancato rinvenimento dell’apparecchio nel cantiere, in esito al sopralluogo degli investigatori;
– anche ad ammettere che nei giorni precedenti al fatto fosse agganciato in quel punto un argano a bandiera, deve ritenersi certo che, nel momento in cui il L. salì al primo piano e attraversò quel corridoio a vista, il luogo presentava un varco, sul vuoto, di circa Ime mezzo;
– risultava altresì incontestabilmente acclarato che quel giorno, nel cantiere, non vi fossero in dotazione cinture di sicurezza;
– anche dunque a ritenere che il L. fosse intento proprio a coprire con assi di legno la parte del ballatoio aperta sul vuoto, è certo che lo stava facendo senza servirsi di cinture di sicurezza, né fruire di un ponteggio costruito dal basso che lo mantenesse in sicurezza;
– da ciò discende la responsabilità del M. (da considerare pacificamente datore di lavoro e, come tale, destinatario delle norme antinfortunistiche contestate), in particolare per non aver dotato il L. di idonea cintura di sicurezza, né munito il descritto ballatoio di “robusto parapetto costituito da una o più correnti parallele sul piano di calpestio”, secondo le prescrizioni di cui all’art. 24 d.P.R. n. 164/56 cit., risultando per contro prive di pregio le contestazioni sul punto mosse dall’appellante, circa in particolare l’adempimento degli obblighi correlati alla propria posizione e il rilievo attribuibile al ruolo di preposto assegnato allo stesso L. ;
– quanto in particolare alla messa a disposizione delle cinture di sicurezza, le attività compiute e da compiersi, ossia la rimozione dell’argano e la predisposizione di adeguato parapetto in corrispondenza del varco lasciato aperto, avrebbero richiesto la permanenza sul posto, nell’immediata disponibilità dei lavoratori, delle cinture di sicurezza, rimanendo pertanto inspiegabile la loro riposizione nel magazzino a distanza di più di 1 km dal luogo di lavoro;
– quanto poi al ruolo di preposto asseritamente attribuito allo stesso L. , non risultava fornita alcuna prova decisiva dell’affidamento di un tale incarico, non potendosi esso in particolare ricavare dall’assegnazione del ruolo di capo di una squadra di soli tre operai e mancando, comunque, prova dei presupposti richiesti dalla giurisprudenza perché una siffatta delega potesse trovare giustificazione e avere comunque effetto; in ogni caso anche l’esistenza di un tale incarico non avrebbe sollevato il datore di lavoro dal concorrente obbligo di garanzia.
3.2. Quanto poi alla posizione del P. rilevava in sintesi la Corte. territoriale che:
– l’imputato rivestiva, come sottolineato nella stessa imputazione, sia il ruolo di responsabile dei lavori (a ciò formalmente incaricato dal committente), sia quello di coordinatore per la sicurezza (in fase di progettazione e di esecuzione);
– il P. era, in ogni caso, anche direttore dei lavori e proprio in tale veste l’istruttoria dibattimentale ha attestato la sua presenza pressoché quotidiana nel cantiere;
– deve pertanto ritenersi che, da un lato, egli fosse perfettamente informato sui lavori in corso e da eseguire e che non potesse sfuggirgli che tali lavori richiedevano cautele supplementari da attuare con cinture di sicurezza o altre misure equivalenti; dall’altro, che avrebbe dovuto vigilare in modo più puntuale sull’osservanza delle norme di sicurezza;
– assumere a fondamento della responsabilità la violazione di un tale obbligo non comporta violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, posto che la contestazione riguarda non solo la violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 494 del 1996 ma anche la colpa generica, dovendosi peraltro tener conto che nel caso di specie si realizza la sovrapposizione, in capo alla stessa persona, di più posizioni di garanzia (così a pagina 29, prime undici righe, della sentenza);
– ciò in particolare comporta che l’assidua presenza in cantiere del P. (stante il contemporaneo ruolo di direttore dei lavori) imponeva di declinare l’obbligo di vigilanza imposto dall’art. 5 d.lgs. 494/96 anche nel senso di verificare che la pericolosa operazione di messa in sicurezza del varco descritto fosse cautelata con la predisposizione delle cinture di sicurezza e di un’impalcatura supplementare (così a pagina 34 della sentenza).
4. Avverso tale decisione hanno proposto separati ricorsi per cassazione: gli Avv.ti Angela Luisa Barria e Tullio Frau, in difesa del P. ; l’Avv. Guido Manca-Bitti, in difesa del M. .
4.1. L’Avv. Barria articola a fondamento del proprio ricorso due motivi.
4.1.1. Con il primo deduce carenza e manifesta illogicità della motivazione, derivante anche da travisamento di prova.
Lamenta che l’affermazione posta in sentenza a fondamento della ritenuta responsabilità dell’imputato – secondo cui egli doveva ritenersi perfettamente informato sul tipo di lavorazione in corso e da eseguire e avrebbe dovuto pertanto vigilare in modo più puntuale sull’osservanza delle misure di sicurezza – stride fortemente con quanto realmente emerso dall’istruttoria, in ordine all’effettiva conoscenza da parte del P. degli interventi che gli operai avrebbero effettuato il giorno successivo al suo ultimo sopralluogo e, soprattutto, in ordine alla oggettiva possibilità per lo stesso di ravvisare l’esistenza di un rischio nella zona del cantiere teatro dell’incidente.
Rileva che, sul punto, l’istruttoria non solo non conferma tale assunto (e ciò anche in ragione di evidenti lacune nelle indagini), ma offre molteplici indicazioni di segno opposto, desumibili in particolare: dalle affermazioni dello stesso imputato che, sentito in dibattimento, aveva dichiarato di essersi recato in cantiere il venerdì precedente e che allora il ballatoio era risultato protetto per tutta la sua lunghezza, essendovi ancora montato l’argano e non essendo in corso alcun lavoro nel salone sottostante; dalle deposizioni dei testi O.A. e A.G. , convergenti nel confermare che il montacarichi era ancora montato il venerdì ed era stato tolto la mattina stessa dell’incidente presumibilmente dallo stesso L. (deposizioni pertanto inopinatamente, secondo la ricorrente, tacciate di inattendibilità); dalla ricostruzione dell’incidente operata dal consulente tecnico di parte che, sul punto, era giunto ad analoghe conclusioni; dalla considerazione, infine, che non altrimenti potrebbe spiegarsi la scelta del L. di adoperarsi proprio quel giorno per sistemare il parapetto.
Tutto ciò, secondo la ricorrente, impedisce di configurare le omissioni addebitate al P. , “in quanto la situazione che ha portato all’incidente si è determinata solamente in un momento successivo al suo ultimo sopralluogo e immediatamente precedente al verificarsi dell’infortunio stesso”, con la conseguenza che il tragico evento deve ritenersi frutto di un “accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori e da una iniziativa del lavoratore”.
4.1.2. Con il secondo motivo deduce violazione dell’art. 5 d.lgs. n. 494/96.
Lamenta che la Corte d’appello ha indebitamente ampliato ruolo e responsabilità dell’imputato che, in qualità di coordinatore per l’esecuzione dei lavori, non era tenuto ad assicurare l’applicazione del piano di sicurezza, ma solamente a verificare il rispetto dello stesso.
Richiama in proposito la giurisprudenza di questa Suprema Corte che, in diverse occasioni, ha evidenziato che al coordinatore spetta una funzione di alta vigilanza, che non richiede una continua presenza in cantiere.
Ciò premesso, rimarca che nel caso di specie andava tenuto presente che la lavorazione che ha dato occasione al sinistro non era ancora iniziata al momento del suo ultimo sopralluogo.
4.2. L’Avv. Frau deduce a fondamento del ricorso violazione di legge ed erronea valutazione del nesso di causalità, svolgendo considerazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle proposte dall’altro difensore, testé riferite.
4.3. Il difensore di M.I. articola nel proprio ricorso cinque motivi.
4.3.1. Con il primo deduce che, contraddittoriamente, nell’affermare la penale responsabilità del datore di lavoro, la Corte territoriale ha omesso di considerare che l’attività la cui omissione gli viene addebitata – ossia la messa in sicurezza del varco rimasto aperto nel ballatoio a seguito della rimozione dell’argano a bandiera – era esattamente quella nella quale era impegnato il L. , ragione per cui non può considerarsi violata la norma cautelare che imponeva l’istallazione del parapetto e del fermapiede.
4.3.2. Con il secondo deduce che la Corte d’appello è altresì incorsa in violazione di legge e vizio di motivazione nel porre a fondamento della condanna l’asserita violazione dell’obbligo di mettere a disposizione del L. le cinture di sicurezza.
Sostiene che tale obbligo, in capo al datore di lavoro, deve ritenersi adempiuto una volta che egli abbia provveduto – come nella specie risulta dimostrato – all’acquisto e alla messa a disposizione dei lavoratori dei dispositivi di sicurezza, previa istruzione su come e quando utilizzarli, non essendo invece previsto anche un obbligo di costante presenza in cantiere, diretto a verificarne l’effettivo utilizzo.
Osserva che nessun rilievo di contro può attribuirsi al fatto che le cinture di sicurezza si trovassero non in cantiere ma in un magazzino distante 1 km e mezzo, atteso che “tale distanza… non è certo rilevante o tale da non permettere di considerare prontamente reperibili i dispositivi di sicurezza”.
4.3.3. Con un terzo connesso motivo deduce ancora violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte d’appello omesso di considerare che era proprio il preposto – e, nella specie, quindi, la stessa vittima – ad avere l’obbligo di vigilare sull’osservanza da parte dei lavoratori dell’utilizzo delle misure e dei dispositivi di sicurezza.
4.3.4. Con il quarto motivo deduce che la Corte d’appello è incorsa in violazione di legge per avere posto in dubbio che il L. avesse la qualifica di preposto.
Rileva al riguardo che, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, la figura di capo cantiere corrisponde a quella del preposto e che, comunque, quest’ultima qualifica può discendere anche in via di mero fatto dall’esercizio delle relative funzioni: l’una e l’altro nella specie desumibili dalle dichiarazioni dei testimoni che hanno ricordato come fosse il L. a impartire le istruzioni ai lavoratori e a organizzare materialmente il lavoro, senza che di contro possa rilevare la mancanza di una delega di funzioni scritta idonea a trasferire poteri decisionali e di spesa, dal momento che nel caso di specie non si discute del mancato acquisto di attrezzature o dispositivi, ma del mancato utilizzo degli stessi.
4.3.5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce infine violazione di legge per avere la Corte d’appello tratto l’esistenza di un nesso causale dal solo, pur contestato, accertamento della violazione di una norma cautelare, laddove invece avrebbe dovuto anche dar conto delle ragioni per le quali, alla stregua di un necessario giudizio controfattuale, la presenza in cantiere delle cinture avrebbe evitato l’evento.
Rimarca in proposito che è stato proprio il L. , pur a conoscenza delle procedure di sicurezza, a non prelevare la cintura dal magazzino dell’impresa presso il quale peraltro, come ogni giorno di lavoro, egli si era recato qualche minuto prima per ritirare i materiali necessari per le lavorazioni da eseguire.
Diritto
5. Le censure, congiuntamente esaminabili, poste a fondamento dei ricorsi proposti in difesa di P.A. sono infondate.
Premesso che, nella specie, siccome pacificamente emergente dagli atti, il P. rivestiva la duplice qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e in fase di esecuzione dei lavori nel cantiere, e di responsabile dei lavori per conto del committente, giova rammentare che da tali incarichi discendevano a suo carico (tra altri non specificamente rilevanti nella specie) gli obblighi di:
– redigere il piano di sicurezza e di coordinamento ed il fascicolo delle informazioni per la prevenzione e la protezione dai rischi (art.4 d.lgs. 494/96);
– coordinare e controllare l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro;
– verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza redatto dal datore di lavoro dell’impresa esecutrice; organizzare la cooperazione ed il coordinamento delle attività all’interno del cantiere;
– segnalare al committente o al responsabile dei lavori le inosservanze delle disposizioni di legge riferite ai datori di lavoro o ai lavoratori autonomi (art. 5);
– attenersi ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’art. 3 d.lgs. n. 626 del 1994;
– determinare la durata dei lavori o delle fasi di lavoro che si devono svolgere simultaneamente o successivamente tra loro, al fine di permettere la pianificazione dell’esecuzione in condizioni di sicurezza (art. 3, comma 1);
– valutare i documenti di cui all’art. 4, comma 1, lett. a) e b) [ossia, il piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 e il piano generale di sicurezza di cui all’art. 13 (la cui redazione grava sul coordinatore per la progettazione), nonché il fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e protezione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, tenendo conto delle specifiche norme di buona tecnica e dell’allegato 2 al documento U.E. 260/5/93] (art. 3, comma 2);
verificare l’idoneità tecnico-professionale delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione ai lavori da affidare (comma 8).
Infine, l’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 494 del 1996, costituisce chiaramente il responsabile dei lavori quale garante dell’effettività dell’opera di coordinamento posta in capo ai coordinatori per la progettazione e per la esecuzione.
Orbene, non può dubitarsi che una tale congerie di doveri imposti dalle norme menzionate (ora trasposte in termini coincidenti nel Testo unico per la sicurezza del lavoro di cui al D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81) a carico del coordinatore per l’esecuzione dei lavori e del responsabile dei lavori, incarichi legittimamente affidati dal committente alla stessa persona, configuri a carico di questa una posizione di garanzia tutt’altro che formale e limitata alla astratta previsione dei presidi e delle procedure di sicurezza da osservare, ma ben più costante e attenta, dovendosi la stessa, in particolare, spingersi alla verifica della corretta e concreta osservanza delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e adeguarsi al procedere dei lavori.
Proprio in ragione di tale concezione degli obblighi di controllo, ispirata a criteri di effettività e adeguamento al procedere dei lavori, non può fondatamente sostenersi che l’insorgenza in concreto di tali obblighi presupponesse il materiale avvio della fase lavorativa che prevedeva la rimozione dell’argano, non potendo dubitarsi che tra tali obblighi rientrasse anche quello di adeguare il piano di sicurezza e la verifica della sua concreta attuazione al prevedibile evolversi delle attività lavorative.
Non può, dunque, in tal senso ritenersi che la mera verifica, il venerdì che precedette il tragico incidente, che il ballatoio fosse ancora tenuto in sicurezza per la presenza dell’argano, valga ad assolvere i ben più penetranti obblighi gravanti sul coordinatore e sul responsabile dei lavori e, per converso, quanto poi accaduto il lunedì successivo possa ritenersi quale “accidente contingente, scaturito estemporaneamente dallo sviluppo dei lavori e da una iniziativa del lavoratore”, non potendosi al contrario dubitare – e non essendo da alcuno contestato – che il lunedì successivo proprio a quella fase dei lavori si sarebbe dovuto passare.
È del resto espressamente evidenziato nella sentenza d’appello (senza che sul punto sia sorta contestazione di sorta) – in base all’istruzione raccolta – che, il giorno dell’infortunio, si sarebbe dovuto procedere all’intonacatura del solaio del più alto vano al pianoterra (quello sul quale si affacciava il ballatoio prima descritto), per raggiungere il quale era previsto il completamento del ponteggio già in parte allestito.
Ciò rende palesi la superficialità e l’inadeguatezza della verifica compiuta dal P. , ancorché fino al venerdì precedente l’incidente, tanto più alla luce di quanto pure evidenziato nella sentenza di primo grado (la cui motivazione come noto integra quella della sentenza impugnata, per il principio della c.d. doppia conforme) circa “le numerose violazioni riscontrate (mancanza di segnaletica, ponteggio irregolare, assenza di dotazioni ed opere provvisionali)”, per le quali gli imputati hanno successivamente effettuato il pagamento delle relative sanzioni previste dal d.lgs. 494/96, con conseguente estinzione dei relativi reati, la conseguente prevedibile – se non già nota – scarsa attenzione delle regole di sicurezza dello stesso L. e, soprattutto, circa la mancata certa individuazione sui luoghi dell’aggancio che avrebbe dovuto consentire di ancorare adeguatamente l’imbracatura (v. sentenza di primo grado, pag. 7), nonché delle stesse cinture di sicurezza: circostanza, quest’ultima, in particolare, che rende ancor più inconsistente se possibile la difesa di entrambi gli imputati facente leva sul mero formale rilievo che tali cinture erano state acquistate ed erano a disposizione dei lavoratori, non potendosi certamente considerare rispettosa del piano di sicurezza una situazione in cui, come nella specie, lungi dall’essere approntate sul luogo di lavoro e immediatamente operative in vista dei prevedibili lavori da compiere, le cinture di sicurezza siano custodite in un magazzino distante oltre un chilometro.
In tal senso, del resto, questa S.C. ha avuto più volte occasione di affermare il principio secondo cui in tema di infortuni sul lavoro – in virtù della previsione di cui all’art. 6, comma secondo, D.Lgs. n. 494 del 1996, come sostituito dall’art. 6 del D.Lgs. n. 528 del 1999 – il committente ed il responsabile dei lavori devono verificare l’adempimento da parte dei coordinatori degli obblighi di assicurare e di verificare il rispetto, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la corretta applicazione delle procedure di lavoro. Ne consegue che al committente ed al responsabile dei lavori non è attribuito dalla legge il compito di verifiche meramente formali, ma una posizione di garanzia particolarmente ampia, comprendente l’esecuzione di controlli sostanziali ed incisivi su tutto quel che concerne i temi della prevenzione, della sicurezza del luogo di lavoro e della tutela della salute del lavoratore, accertando, inoltre, che i coordinatori adempiano agli obblighi sugli stessi incombenti in detta materia. (Sez. 4, n. 14407 del 07/12/2011 – dep. 16/04/2012, P.G. e P.C. in proc. Bergamelli, Rv. 253294: nella fattispecie la S.C. ha escluso che le verifiche di cui all’art. 4 D.Lgs. n. 496 del 1996 hanno carattere formale, affermando che la mancata esecuzione dell’analisi dei rischi e l’omessa previsione di misure di sicurezza per l’esecuzione dei lavori incidono sulla posizione del committente – e, quindi, ove sia previsto in sua vece, del responsabile dei lavori – in relazione sia alla scelta dei tecnici incaricati della redazione del piano, sia agli obblighi allo stesso imposti di accertare che detti tecnici si fossero adeguatamente fatti carico dei temi della prevenzione, della sicurezza e della tutela della salute del lavoratore; in senso conforme vds. anche Sez. 4, n. 46839 del 02/11/2011 – dep. 19/12/2011, Medi e altri, Rv. 252143, secondo cui “in tema di infortuni sul lavoro, il responsabile dei lavori edili, in virtù dell’art. 6, comma secondo, D.Lgs. n. 494 del 1996, nel testo risultante a seguito delle modifiche apportate dall’art. 6 del D.Lgs. n.528 del 1999, è tenuto a svolgere una funzione di supercontrollo, verificando che i coordinatori adempiano agli obblighi su di essi gravanti, ed in particolare non solo deve assicurare ma anche verificare l’applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, nonché la corretta applicazione delle procedure di lavoro”; ed ancora Sez. 4, n. 46820 del 26/10/2011 – dep. 19/12/2011, Di Gloria ed altri, Rv. 252139, secondo cui “in tema di infortuni sul lavoro, l’obbligo dei titolari della posizione di garanzia comprende non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la loro effettiva predisposizione, nonché il controllo continuo ed effettivo sulla concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che esse siano trascurate o disapplicate, e il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione; il coordinatore per l’esecuzione dei lavori deve verificare, attraverso una attenta e costante opera di vigilanza, l’eventuale sussistenza di obiettive situazioni di pericolo nel cantiere (nella specie l’utilizzo di un ascensore non ancora collaudato ed in corso di installazione)”; Sez. 4, n. 32142 del 14/06/2011 – dep. 17/08/2011, Goggi, Rv. 251177, secondo cui “il coordinatore per l’esecuzione dei lavori ha non soltanto compiti organizzativi e di raccordo tra le imprese che collaborano alla realizzazione dell’opera, ma deve anche vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza; nella fattispecie si contestava all’imputato, nella suddetta qualità, di avere omesso di vigilare – non essendo assiduamente presente in loco – sulla corretta applicazione delle prescrizioni del piano di sicurezza dallo stesso redatto: la Corte, pur non configurando un obbligo di presenza continuativa in cantiere, ha ritenuto che l’imputato, nel corso delle periodiche visite, avrebbe dovuto informarsi scrupolosamente sullo sviluppo delle opere, verificando specificamente, per ciascuna fase, l’effettiva realizzazione delle programmate misure di sicurezza, che erano risultate in concreto non approntate”).
6. Passando quindi al ricorso proposto nell’interesse di M.I. , deve ribadirsi – con riferimento ai primi due motivi, congiuntamente esaminabili – che, pur dovendosi convenire che nucleo centrale dell’addebito va ravvisato nella omessa concreta ed effettiva messa a disposizione delle cinture di sicurezza, deve ritenersi che la difesa sul punto svolta dal ricorrente, secondo cui l’obbligo gravante sul datore di lavoro doveva ritenersi adempiuto, si appalesa debole e inconsistente, non rispondendo ad una corretta interpretazione del contenuto e dello scopo degli obblighi imposti dalle norme infortunistiche a carico del datore di lavoro: prima tra tutte della norma base rappresentata dall’art. 2087 cod. civ. che, come noto, obbliga l’imprenditore “ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Secondo pacifica interpretazione di tale fondamentale disposizione, infatti, il compito del datore di lavoro non si esaurisce nella predisposizione e nella consegna ai lavoratori dei mezzi di prevenzione e nell’attuazione delle misure necessarie, essendo lo stesso tenuto ad accertarsi che le disposizioni impartite vengano nei fatti eseguite e ad intervenire per prevenire il verificarsi di incidenti (Cass. civ. Sez. lavoro, 09-03-1992, n. 2835), attivandosi per far cessare eventuali manomissioni o modalità d’uso pericolose da parte dei dipendenti, quali la rimozione delle cautele antinfortunistiche (Cass. civ. Sez. lavoro, 27-05-1986, n. 3576) o il mancato impiego degli strumenti prevenzionali messi a disposizione (Sez. 4, n. 6486 del 03/03/1995 – dep. 03/06/1995, Grassi, Rv. 201706).
Si è in tal senso precisato che, in tema di sicurezza antinfortunistica, il compito del datore di lavoro, o del dirigente cui spetta la sicurezza del lavoro, è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure e quindi, ove le stesse consistano in particolari cose o strumenti, al mettere queste cose, questi strumenti, a portata di mano del lavoratore e, soprattutto, al controllo continuo, pressante, per imporre che i lavoratori rispettino quelle norme, si adeguino alla misure in esse previste e sfuggano alla superficiale tentazione di trascurarle. Il responsabile della sicurezza, sia egli o meno l’imprenditore, deve avere la cultura e la forma mentis del garante del bene costituzionalmente rilevante costituito dalla integrità del lavoratore ed ha perciò il preciso dovere non di limitarsi a assolvere formalmente il compito di informare i lavoratori sulle norme antinfortunistiche previste, ma deve attivarsi e controllare sino alla pedanteria, che tali norme siano assimilate dai lavoratori nella ordinaria prassi di lavoro (Sez. 4, n. 6486 del 03/03/1995 – dep. 03/06/1995, Grassi, Rv. 201706; ma vds. anche, nello stesso senso, Sez. 4, n. 13251 del 10/02/2005 – dep. 12/04/2005, Kapelj, Rv. 231156, secondo cui “in tema di infortuni sul lavoro, il compito del datore di lavoro è articolato e comprende l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi a determinate attività, la necessità di adottare le previste misure di sicurezza, la predisposizione di queste, il controllo, continuo ed effettivo circa la concreta osservanza delle misure predisposte per evitare che esse vengano trascurate e disapplicate, il controllo infine sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione”).
Alla luce di tali univoche indicazioni normative e giurisprudenziali, non può dubitarsi che, lungi dal potersi considerare adempiuto l’obbligo gravante sul datore di lavoro in materia antinfortunistica con il mero acquisto delle cinture di sicurezza, il fatto stesso che queste siano tuttavia rimaste inutilizzate e custodite in un magazzino distante più di un chilometro dal luogo di lavoro vale di per sé a dimostrare un atteggiamento molto lontano dal contenuto ben più attivo e sostanziale che a tale obbligo occorre assegnare; ciò tanto più se si considera che, alla luce delle già richiamate emergenze, il fatto che le cinture di sicurezza rimanessero inutilizzate in magazzino non può imputarsi a isolata distrazione o non prevedibile condotta inosservante dello stesso lavoratore, verificatasi nella tragica contingenza, ma costituiva dato strutturale confermato anche dalla riscontrata assenza nel luogo di lavoro di una “linea vita” alla quale ancorarle (vds. pag. 7 della sentenza di primo grado) e, più in generale, risponde piuttosto a un generalizzato lassismo desumibile anche dalle altre segnalate numerose violazioni.
7. Sono anche infondati il terzo e il quarto motivo, congiuntamente esaminabili, afferendo entrambi alla questione posta circa il rilievo da attribuire alla qualità di preposto asseritamente rivestita dalla stessa vittima.
Anche ad ammettere infatti che tale qualità potesse desumersi dall’istruzione acquisita (e pur prescindendo dunque dal rilievo di aspecificità e genericità della censura sul punto svolta in quanto riferita a fonti di prova – POS e dichiarazioni testi – non specificamente allegate al ricorso né indicate nella loro esatta posizione nell’incartamento processuale, oltre che non coerente rispetto agli argomenti contrari espressi in sentenza fondati essenzialmente sulla ridotte dimensioni dell’azienda), appare assorbente il rilievo che comunque tale veste in capo alla vittima varrebbe a porre a carico dello stesso una concorrente posizione di garanzia nei confronti degli altri lavoratori ad esso sottordinati, ma di certo non anche a sollevare il datore di lavoro dall’obbligo che, comunque, anche in tal caso residua a suo carico, di sorvegliare ed accertare che il preposto usi concretamente ed effettivamente dei poteri all’uopo conferitigli, dando concreta attuazione alle disposizioni impartite e alle misure volta a volta dovute: e ciò a tutela dell’incolumità di tutti i lavoratori, compreso lo stesso preposto (v. ex aliis Sez. 4, n. 20595 del 12/04/2005 – dep. 01/06/2005, Castellani ed altro, Rv. 231370, secondo cui “il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, ha l’obbligo non solo di predisporre le misure antinfortunistiche, ma anche di sorvegliare continuamente sulla loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù della generale disposizione di cui all’art. 2087 cod. civ., egli è costituito garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro”).
Come è stato puntualmente evidenziato nella giurisprudenza di questa S.C., il contenuto di tale ultimo obbligo va peraltro ragguagliato alle connotazioni del caso concreto, tra le quali particolare importanza deve attribuirsi alla organizzazione dell’impresa ed eventualmente alla episodicità del fatto e alla estemporaneità dei comportamenti serbati (Sez. 4, n. 12413 del 08/10/1999 – dep. 30/10/1999, Massarenti A e altro, Rv. 215009).
Se è vero dunque che, ove si tratti di società di notevoli dimensioni, un siffatto obbligo non può estendersi sino a richiedere la continua presenza sul luogo dell’amministratore, datore di lavoro, in ognuna delle singole circostanze episodiche in cui il lavoro viene svolto dai dipendenti (obbligo, questo, che la stessa complessa dimensione strutturale dell’azienda può, già di per sé, rendere inesigibile); è anche vero, per converso, che in presenza di una organizzazione aziendale non particolarmente complessa e, anzi, di ridotte dimensioni, quale quella che nella specie viene in rilievo, il ragionamento per così dire si inverte, rendendosi cioè presumibile l’assenza di effettivi poteri di vigilanza e direzione in materia di sicurezza in capo a chi sia indicato come preposto e per contro la ben possibile – e pertanto anche doverosa – presenza e fattiva vigilanza del datore di lavoro.
Tanto più ciò deve affermarsi nella specie, laddove, come puntualmente evidenziato nella sentenza d’appello, non solo non vi sono elementi che consentano di riconoscere nel L. un incarico di preposto apprezzabile nei presupposti e nei contenuti in termini di effettività (tale incarico è del resto argomentato dal ricorrente essenzialmente in ragione dell’essere il L. a capo di una piccola squadra di manovali composta di tre persone, lui compreso), ma ve ne sono di segno contrario, quali in particolare le modeste dimensioni dell’impresa, in considerazione delle quali la Corte di merito ha ragionevolmente escluso che il datore di lavoro non fosse in condizioni di esercitare direttamente i propri compiti di controllo. In tale prospettiva, poi, appare decisivo il dato, pure rimarcato in sentenza, della non episodicità della mancanza delle cinture di sicurezza sul luogo di lavoro (per essere invece le stesse – come s’è ripetuto – del tutto inutilmente conservate in magazzino a distanza di più di un chilometro) nonché quello secondo cui, alla stregua di quanto affermato dai testi A. e O. , non era il L. a decidere autonomamente se e quanto utilizzare (ossia, prelevare dal magazzino) le cinture di sicurezza, ma piuttosto alla consegna delle stesse restava delegato (“all’occorrenza”) lo stesso M. o tale Ma. , ragioniere e responsabile della sicurezza (vds. sentenza d’appello, pag. 20), tanto che, come pure rimarcato nella sentenza impugnata (pag. 21), “anche il giorno dei fatti, nel quale era previsto l’allestimento del ponteggio per procedere all’intonacatura del solaio” secondo quanto riferito dai testi si era in “attesa di qualcuno per la consegna delle cinture di sicurezza”.
8. È infine manifestamente infondato anche il quinto motivo di ricorso proposta dal M. .
Appare infatti indubitabile la sussistenza di un’efficacia causale diretta della inosservanza della regola cautelare rispetto al tragico evento verificatosi, essendo di tutta evidenza che l’adempimento effettivo degli obblighi come detto gravanti sul datore di lavoro, non meramente formali ma spinti fino ad un pressante (se non addirittura pedante), controllo dell’effettivo utilizzo da parte dei dipendenti dei presidi di sicurezza previsti per le lavorazioni da compiere, avrebbe ben potuto impedire che lo sfortunato lavoratore si determinasse a compiere un’operazione in una situazione di evidente pericolo di caduta dall’alto.
Per converso, (solo) la dimostrazione di un effettivo e operativo approntamento dei presidi di sicurezza (nel caso di specie cinture di sicurezza e relativo aggancio) nonché di un controllo costante ed effettivo volto a indurre pressantemente i lavoratori all’utilizzo degli stessi e all’osservanza in genere delle procedure si sicurezza (ancorché non spinto ad una inesigibile presenza continua in cantiere), avrebbe potuto valere a dimostrare l’effettiva riconducibilità dell’evento a consapevole e volontaria scelta avventata e inosservante dello stesso lavoratore (questa sì, in ipotesi, idonea a esonerare il datore da responsabilità alla stregua di una causa sopravvenuta da sola idonea a determinare l’evento ai sensi dell’art. 41, comma secondo, cod. pen.): ipotesi che però, nel contesto predetto, non può in alcun modo ritenersi avvalorata dalle descritte emergenze.
9. In definitiva, per le esposte considerazioni, entrambi i ricorsi devono essere rigettati, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in solido, alla rifusione delle spese in favore delle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali; li condanna inoltre a rimborsare, in solido, alle parti civili L.M.C. , L.G. , L.M.G. e L.A.M.T. le spese sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi Euro 4.000,00 oltre accessori come per legge.