Cassazione Penale, Sez. 4, 13 maggio 2015, n. 19758 – Infortunio e responsabilità di un coordinatore per l’esecuzione. Cd. direttiva cantieri applicabile anche a casi antecedenti al 97?

Infortunio durante i lavori di realizzazione di una palazzina. Responsabilità di un coordinatore per l’esecuzione che, a propria discolpa, afferma la non applicabilità del d.lgs. n. 494/1996 perché esso si applica ai cantieri nei quali l’incarico di progettazione sia stato affidato a partire dal 24 marzo 1997, data di entrata in vigore dello stesso. Nel caso di specie l’incarico risaliva ad epoca precedente.

La Corte afferma di aver già affrontato il tema. In particolare, con la sentenza di questa sezione, n. 18881 del 15.4.2008, si é indicato come scriminante il momento di rilascio dell’incarico della progettazione esecutiva, secondo un’interpretazione fatta propria anche dal Consiglio di Stato (ma non per il versante penalistico, per il quale ha adottato il condivisibile criterio del tipo di attività svolta: parere reso alla Regione Lazio nell’adunanza del 1.7.1998). La coeva sentenza Sez. 4, n. 15247 del 29.2.2008, ha ritenuto che assume rilevanza per l’applicazione della normativa in questione “l’insussistenza di reali impedimenti all’attuazione integrale della cd. direttiva cantieri”.
Questa Corte ritiene che proprio questo debba essere il criterio da applicare: ai fini dell’applicazione della legge penale quel che rileva – in assenza di norma transitoria – é la persistenza dell’attività disciplinata che consenta l’adeguamento alla previsione legale. Pertanto, quel che va verificato é che gli obblighi, per il loro contenuto, possano o meno essere ancora adempiuti, perché l’attività sulla quale si riflettono non é integralmente compiuta.
Il ricorrente si limita ad affermare che la cd. direttiva cantieri non trova applicazione nella specie perché la concessione edilizia era stata rilasciata nel 1990 e che quindi la progettazione era di certo antecedente. Mere asserzioni che non soddisfano né il principio di autosufficienza del ricorso né la congruenza rispetto al principio sopra esposto.


Presidente: ROMIS VINCENZO Relatore: DOVERE SALVATORE Data Udienza: 10/04/2015

Fatto

1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha riformato la pronuncia di condanna emessa dal Tribunale di Taranto, sezione distaccata di Ginosa, dichiarando estinto per prescrizione il reato di lesioni colpose in danno di R.G., commesso con violazione di norme prevenzionistiche e confermando le statuizioni civili in favore della parte civile.
Secondo l’accertamento condotto nei gradi di merito, il M., in qualità di amministratore della E. Costruzioni s.r.l. aveva commissionato i lavori di realizzazione di una palazzina per civile abitazione in viale Omissis, alla ditta individuale C.P.; il 9.8.2002, nel corso dei lavori il dipendente di questa,  R.G., nello scendere dalle scale che congiungeva il primo al secondo piano dell’edificio inciampava e a causa dell’assenza di parapatti sul lato prospiciente il vuoto, cadeva al suolo riportando gravi lesioni.
La Corte di Appello ha ritenuto che l’evento fosse ascrivibile al M. in qualità di coordinatore per l’esecuzione, in quanto in tale veste aveva omesso di vigilare sull’attività della ditta C.P. e non aveva redatto il Piano operativo di sicurezza, omissioni causalmente connesse al sinistro.
Per contro, non ha ritenuto ravvisabile in bis in idem invocato dall’appellante, in relazione alla pronuncia di assoluzione emessa il 18.6.2007 nei confronti del M. dal Tribunale di Ginosa in altro procedimento, perché in questo l’imputato era stato giudicato per profili di colpa diversi.
2. Ricorre per cassazione nell’interesse del M. il difensore di fiducia avv. Omissis.
2.1. Rileva l’esponente che la Corte di Appello é incorsa in errore non ritenendo il bis in idem con la sentenza emessa dal Tribunale di Ginosa il 18.6.2007, perché le ipotesi accusatorie sono le stesse.
Asserisce che nel caso che occupa non trova applicazione il d.lgs. n. 494/1996 perché esso si applica ai cantieri nei quali l’incarico di progettazione sia stato affidato a partire dal 24 marzo 1997, data di entrata in vigore dello stesso. Nel caso di specie l’incarico risaliva ad epoca precedente. Aggiunge che le ipotesi contravvenzionali erano estinte per prescrizione già alla pronuncia della sentenza di primo grado.
2.2. Con un secondo motivo contesta la ricostruzione dei fatti svolta dal primo giudice e rileva che il contratto di appalto prevedeva, all’art. 9, che il Piano di sicurezza previsto dal d.lgs. n. 626/1994 fosse redatto dal C.P., tenuto altresì all’osservanza del piano generale di sicurezza.
Conclude che, venute meno le contravvenzioni, l’imputato andava assolto anche dal delitto e revocate le statuizioni civili.
2.2. Con memoria depositata il 1.4.2015 il ricorrente ha reiterato, in forma di maggior sintesi, i motivi già esposti, rilevando l’intervenuta prescrizione di tutti i reati ascritti all’imputato.

Diritto

3. Il ricorso è infondato.
4. Giova premettere che il presente giudizio ha ad oggetto unicamente il reato di lesioni personali colpose aggravate, non essendo stata elevata autonoma imputazione concernente le contravvenzioni che vanno ad integrare la condotta colposa ritenuta causa dell’evento tipico.
Essendo stata dichiarata la prescrizione del reato ascritto all’imputato, vale il principio per il quale in presenza di una causa di estinzione del reato non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata perché l’inevitabile rinvio della causa all’esame del giudice di merito dopo la pronuncia di annullamento è incompatibile con l’obbligo dell’immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall’art. 129 cod. proc. pen., salvo che nella sentenza impugnata si dia atto della sussistenza dei presupposti per la pronunzia di assoluzione, sia pure ai sensi del secondo comma dell’art. 530 cod. proc. pen., atteso che, nel vigente sistema processuale, la assoluzione per insufficienza o contraddittorietà della prova è del tutto equiparata alla mancanza di prove e costituisce pertanto pronunzia più favorevole rispetto a quella di estinzione del reato (Sez. 4, n. 40799 del 18/09/2008 – dep. 31/10/2008, P.G. in proc. Merli, Rv. 241474). Di tale principio non può essere fatta applicazione nel presente procedimento, in cui non si rinvengono nella sentenza impugnata attestazioni della – o elementi dai quali desumere la – sussistenza dei presupposti per una pronuncia ai sensi dell’art. 530, co. 2 cod. proc. pen.
Tanto agli effetti penali.
Tuttavia, nel caso di specie ricorrono statuizioni civili, sicché nonostante la declaratoria di estinzione del reato, in ragione dell’art. 578 cod. proc. pen. – il quale prevede che il giudice d’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta “condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati”, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili – i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova della innocenza dello stesso, secondo quanto previsto dall’art. 129, co. 2 cod. proc. pen (cfr. ex multis, Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).
5. Il primo motivo é manifestamente infondato.
In tema di divieto di un secondo giudizio, il fatto cui l’art. 649 cod. proc. pen. fa riferimento è il fatto storico, considerato da un punto di vista fattuale e giuridico, sul quale si è formato il giudicato e non il fatto come è stato giuridicamente configurato nel primo giudizio nei suoi elementi non essenziali: il medesimo fatto, invero, deve risultare tale nei sui elementi costitutivi (condotta, evento, nesso di causalità) considerati sia nella loro dimensione storico – naturalistica, sia in quella giuridica, e deve riguardare le medesime condizioni di tempo, di luogo e di persone (Sez. 4, n. 15578 del 20/02/2006 – dep. 05/05/2006, Mele, Rv. 233959). Tanto importa, ad esempio, l’illegittimità di una sentenza che condanni l’imputato – assolto dal reato di omicidio colposo perchè il fatto non costituisce reato – per i medesimi fatti, a seguito di nuovo esercizio dell’azione penale, in ragione di un diverso profilo di colpa ritenuto nel secondo procedimento.
Ma é erroneamente evocato il rammentato profilo ove il primo giudizio abbia avuto ad oggetto unicamente una contravvenzione consistente nell’inosservanza di regola prevenzionistica mentre il secondo attiene al delitto di omicidio colposo commesso con violazione di quella norma prevenzionistica. In tal caso, infatti, non si é in presenza del ‘medesimo fatto’, secondo l’accezione penalistica della locuzione. Tale assunto è persino autoevidente: la fattispecie delittuosa ha una struttura ben più ampia di quella contravvenzionale (basti considerare che la prima dà vita ad un reato di evento, laddove la seconda origina un reato di mera condotta). D’altro canto, la concorrenza dei due reati dà luogo ad un tipico concorso formale di reati, in cui con un’unica azione si integrano più fattispecie criminose [cfr. per un’applicazione in tema di omicidio colposo commesso con violazione degli artt. 13 e 77 lett. b) d.p.r. n. 164/56, contravvenzione per la quale l’imputato era stato giudicato ed assolto per l’insussistenza del fatto in separato procedimento, Sez. 4, sent. n. 37340 del 28.6.2012, Petronella, n.m.].
Nel caso che occupa, il M. era stato tratto a giudizio nell’anteriore procedimento per rispondere di tre contravvenzioni, commesse quale titolare dell’impresa: a) per non effettuato la notifica preliminare di cui all’art. 11 d.lgs. n. 494/1996; b) per non aver designato il coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione in violazione art. 3 d.lgs. n. 494/1996; e) per aver concesso in uso alla ditta C.P. una sega circolare non conforme ai requisiti di legge, così violando l’art. 6 d.lgs. n. 626/1994 (tutti fatti accertati il 9.8.2002).
Tutte violazioni che neppure sono andate a costituire il nucleo della condotta causativa del sinistro per cui é processo.
6. Quanto alla applicabilità al caso di specie del d.lgs. n. 494/1996, va rammentato che l’entrata in vigore del provvedimento risale al 23.3.1997. Con circolare n. 41 del 18.3.1997 il Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale ha asserito che la normativa si applica(va) ai cantieri nei quali l’incarico di progettazione risultava affidato successivamente a tale data. Il ricorrente si é richiamato a tale atto, asserendo che nella specie la progettazione risaliva ad epoca anteriore.
Questa Corte ha già affrontato il tema. In particolare, con la sentenza di questa sezione, n. 18881 del 15.4.2008, Giarelia, n.m., si é indicato come scriminante il momento di rilascio dell’incarico della progettazione esecutiva, secondo un’interpretazione fatta propria anche dal Consiglio di Stato (ma non per il versante penalistico, per il quale ha adottato il condivisibile criterio del tipo di attività svolta: parere reso alla Regione Lazio nell’adunanza del 1.7.1998). La coeva sentenza Sez. 4, n. 15247 del 29.2.2008, Monteduro ed altri, n.m., ha ritenuto che assume rilevanza per l’applicazione della normativa in questione “l’insussistenza di reali impedimenti all’attuazione integrale della cd. direttiva cantieri”.
Questa Corte ritiene che proprio questo debba essere il criterio da applicare: ai fini dell’applicazione della legge penale quel che rileva – in assenza di norma transitoria – é la persistenza dell’attività disciplinata che consenta l’adeguamento alla previsione legale. Pertanto, quel che va verificato é che gli obblighi, per il loro contenuto, possano o meno essere ancora adempiuti, perché l’attività sulla quale si riflettono non é integralmente compiuta.
Il ricorrente si limita ad affermare che la cd. direttiva cantieri non trova applicazione nella specie perché la concessione ediliizia era stata rilasciata nel 1990 e che quindi la progettazione era di certo antecedente. Mere asserzioni che non soddisfano né il principio di autosufficienza del ricorso né la congruenza rispetto al principio sopra esposto.
Il motivo é quindi infondato.
7. Infine, manifestamente infondato é l’ultimo motivo poiché l’argomento utilizzato dal ricorrente non é pertinente, posto che la Corte di Appello ha accertato che il M. aveva assunto la qualità di coordinatore per l’esecuzione.
8. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Segue al rigetto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese in favore della parte civile R.G., spese che si liquidano in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali; lo condanna inoltre a rimborsare alla parte civile delle spese dalla stessa sostenute per questo giudizio che liquida in complessivi euro 2.500,00, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10/4/2015.

(Fonte: OLYMPUS – Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro)

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