Cassazione Penale, Sez. 4, 22 giugno 2015, n. 26289 – Caduta dal ponteggio per improprio montaggio del giunto ortogonale. Responsabilità del coordinatore per l’esecuzione
Presidente: SIRENA PIETRO ANTONIO Relatore: PICCIALLI PATRIZIA Data Udienza: 21/05/2015
Fatto
B.L. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, in riforma di quella di primo grado, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti per il reato di lesioni colpose gravissime aggravato dalla violazione della normativa antinfortunistica, contestato in concorso con altri, in danno del lavoratore S.E., per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione (fatto del 23 maggio 2003).
Il reato è stato contestato al B.L. nella qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione.
Le modalità dell’infortunio sono state così ricostruite nella sentenza impugnata: l’operaio S.E., dipendente della Edile Costruzioni, subappaltatrice dei lavori di realizzazione delle tramezzature interne, mentre era intento, al secondo piano della palazzina, in corso di costruzione, a raccogliere e buttare le macerie, cadeva dal ponteggio sul piano sottostante, proseguendo nella caduta sino a terra, ad una distanza di 6,5 metri dal suo inizio.
La causa della caduta veniva individuata in una realizzazione del ponteggio in violazione della normativa di sicurezza. Il consulente del PM individuava, in particolare, quale causa principale dell’infortunio, la rottura dell’unico giunto con il quale in via anomala era stato fissato uno dei tubi che reggevano l’asse metallica su cui era posizionato il lavoratore.
L’addebito era stato contestato, tra gli altri, al B.L. nella qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, per avere omesso di adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in relazione alla decisione di realizzare un ponteggio con l’anomalia sopra descritta senza dare disposizioni riguardo ai rischi connessi alla collocazione delle mensole, in violazione dell’art. 5, comma 1, lettera b) d.Lvo 494/96.
B.L. propone ricorso per cassazione, tramite difensore, articolando tre motivi.
Con il primo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione che aveva affermato la responsabilità del B.L. per la carenza dei controlli sul ponteggio omettendo di considerare le testimonianze secondo le quali l’imputato, due giorni prima dell’infortunio aveva consegnato al direttore tecnico del cantiere il verbale di sopralluogo con il quale denunciava l’inutilizzabilità della impalcatura e la necessità di completamento degli accessori del ponteggio, vietandone l’accesso.
Con il secondo motivo si duole dell’erronea interpretazione dell’ art. 5, comma 1, d.Lgs 494/96, come modificato dal d.lgs 528/1999, secondo il quale spetta al coordinatore per l’esecuzione, non più assicurare l’applicazione delle disposizioni contenute nel piano di sicurezza e coordinamento, di competenza del datore di lavoro o comunque dei soggetti equiparati allo stesso, ma di verificare l’applicazione di tali disposizioni e procedure.
Con il terzo motivo lamenta la mancata considerazione da parte dei giudici di merito della condotta abnorme del lavoratore, che, violando il divieto di accesso al ponteggio, si era collocato al di fuori dell’area di rischio della lavorazione in corso, ponendo così in essere una condotta abnorme, imprevedibile ed eccentrica.
Diritto
Il ricorso è infondato.
Come è noto, in presenza di una (già avvenuta) declaratoria di improcedibilità per intervenuta prescrizione del reato, in assenza di statuizioni civili, come nel caso in esame, è precluso alla Corte di cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione.
Il sindacato di legittimità circa la prospettata mancata applicazione del comma 2 dell’articolo 129 c.p.p. deve essere invece circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule ivi prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Pertanto, qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’articolo 129 c.p.p., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, deve prevalere l’esigenza della definizione immediata del processo.
Detto altrimenti, in presenza della causa estintiva del reato non sarebbe quindi applicabile la regola probatoria prevista dall’articolo 530, comma 2, c.p.p., da adottare quando il giudizio sfoci nel suo esito ordinario, ma è invece necessario che emerga “positivamente” dagli atti, e senza necessità di ulteriori accertamenti, la prova dell’innocenza dell’imputato. Da ciò consegue che non è consentito al giudice di applicare l’articolo 129, comma 2, c.p.p. in casi di incertezza probatoria o di contraddittorietà degli elementi di prova acquisiti al processo, anche se, in tali casi, ben potrebbe pervenirsi all’assoluzione dell’imputato per avere il quadro probatorio caratteristiche di “ambivalenza probatoria”. E consegue, altresì, con riguardo al giudizio di Cassazione, che il giudice di legittimità, a fronte dell’obbligo di immediata declaratoria della causa di non punibilità, non può rilevare il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre all’annullamento con rinvio (Sezione IV, 28 maggio 2008, Rago ed altri).
Ciò premesso, il ricorso si palesa infondato.
Infondato è il primo motivo.
Il giudicante, richiamando gli esiti della consulenza disposta dal PM, ha evidenziato che la denuncia di anomalia del ponteggio presentata dall’imputato al direttore dei lavori due giorni prima dell’infortunio non aveva riguardato l’improprio montaggio del giunto ortagonale, causa determinante dell’infortunio ed ha individuato il profilo di colpa dell’imputato nella inadeguata verifica del piano di sicurezza del cantiere e nell’inadeguato coordinamento con i datori di lavoro operanti nel cantiere.
Infondato è il secondo motivo, incentrato sulla interpretazione dell’art. 5 d.Lgs 494/1996, a seguito delle modifiche intervenute con ild.Lgs 528/1999.
Si sostiene, in particolare, che la sentenza aveva confuso la funzione di “alta vigilanza” demandata dalla normativa di settore al coordinatore per l’esecuzione dei lavori- al quale competerebbe esclusivamente l’obbligo di segnalare al committente le irregolarità riscontrate e non il dovere di prevenire prevedibili imprudenze dei lavoratori- con quella “operativa” spettante al datore di lavoro.
La suddetta interpretazione non tiene conto della lettera della legge e dello spirito della riforma, indirizzata a rimarcare ancora più incisamente la posizione di garanzia del coordinatore per l’esecuzione dei lavori ( ora prevista dall’art.92 d.Lvo 9 aprile 2008, n. 81).
Questa figura professionale, per la prima volta organicamente disciplinata dal D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (attuazione della direttiva92/57 Cee concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili), è definita dall’ art.2, del d.Lvo 494/1996, come “soggetto incaricato, dal committente o dal responsabile dei lavori, dell’esecuzione dei compiti di cui all’art. 5”.
In base all’originaria formulazione del D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494, art. 5, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori (nominato dal committente o dal responsabile dei lavori: art. 3, comma 4) era attribuito l’obbligo di “assicurare, tramite opportune azioni di coordinamento, l’applicazione delle disposizioni contenute nei piani di cui agli articoli 12 e 13 e delle relative procedure di lavoro” (lett. a) e quello di “adeguare i piani di cui agli articoli 12 e 13 in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute” (lett. b).
I compiti di questa figura professionale sono stati ridefiniti dal d. Lvo 19 novembre 1999, n. 528, applicabile ratione temporis al caso in esame, il cui art. 5 ha modificato la riferita disciplina contenuta nell’art. 5 originario, attribuendo al coordinatore per l’esecuzione dei lavori i compiti di “verificare” (e non più “assicurare”) l’applicazione da parte delle imprese esecutrici delle disposizioni contenute nei piani di sicurezza e di coordinamento di cui all’art. 12 (lett. a) e quello di “adeguare il piano di sicurezza e coordinamento in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute”.
Il coordinatore per la sicurezza è, pertanto, titolare di una posizione di garanzia nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato art. 5 d.Lvo 1999/528.
Tale posizione di garanzia gli impone, nell’ambito dei cantieri temporanei o mobili contrassegnati da lavori appaltati, di assicurare il collegamento tra impresa appaltatrice e committente al fine della migliore organizzazione del lavoro sotto il profilo della tutela antinfortunistica: in particolare sono a suo carico i compiti di adeguare il piano di sicurezza in relazione allo stato di avanzamento dei lavori, di vigilare sul rispetto dello stesso e di sospendere le singole lavorazioni in caso di pericolo grave ed imminente.
In altre parole, va detto che le funzioni del coordinatore non si limitano a compiti organizzativi e di raccordo o di collegamento tra le eventuali varie imprese che collaborano nella realizzazione dell’opera, ma, in conformità al dettato normativo sopra citato, si estendono anche al compito di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle imprese o della singola impresa delle prescrizioni del piano di sicurezza e ciò a maggior garanzia dell’incolumità dei lavoratori ( v. in tal senso Sezione IV, 14 giugno 2011, n. 32142, Goggi, rv. 251177).
Va, pertanto, chiarito che la presenza in cantiere del coordinatore per la sicurezza non va intesa come stabile presenza in cantiere, ma secondo il significato che consegue dalla posizione di garanzia di cui lo stesso è titolare nei limiti degli obblighi specificamente individuati dal citato art. 5 d.Lvo n. del 1999 (ora art. 92 del citato d.lvo 81/2008), che comprendono anche poteri a contenuto impedivo in situazioni di pericolo grave ed imminente.
Le circostanze di fatto indicate dai giudici di merito, afferenti la situazione di rischio presente nel cantiere, che non riguardava soltanto quello specifico dell’attività della impresa subappaltatrice e le modalità dell’infortunio, la cui causa principale è stata individuata nella rottura del giunto ortagonale, non consentono dubbi sulla palese violazione dell’obbligo da parte dell’imputato di verificare l’applicazione del piano di sicurezza.
Ciò emerge con evidenza dalla sentenza impugnata laddove il giudicante sottolinea che il giunto ortagonale era stato montato in maniera impropria e che se il tubo fosse stato montato correttamente con almeno due giunti sicuramente avrebbe resistito anche ad una sollecitazione anomala.
In questo quadro probatorio,neanche il fatto che il B.L. sia subentrato ad altro coordinatore per l’esecuzione dei lavori assume rilievo scriminante, essendo evidente, in ogni caso, che il compito di vigilare sul rispetto del piano di sicurezza da parte dei lavoratori, gravante sul coordinatore per la sicurezza, non può e non deve limitarsi ad una verifica superficiale, che non tenga conto delle molteplici ed indefinite situazioni di pericolo grave derivanti nei cantieri dalla violazione sistematica della normativa antinfortunistica.
Né l’adempimento di tale obbligo poteva ritenersi assolto con il divieto impartito ai lavoratori di salire sul ponteggio, ove si consideri il principio pacifico secondo cui l’eventuale colpa del lavoratore concorrente con l’addebito colposo di cui si è detto, contestato all’imputato non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza, come nel caso in esame, il coordinatore per la sicurezza, che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica, potendosi escludere l’esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l’abnormità” del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all’evento: dovendosi, al riguardo, considerare abnorme il comportamento che, per la sua stranezza ed imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; con la precisazione, però, che non può avere queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un’operazione comunque rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli come nel caso di specie non può essere messo in discussione (cfr. da ultimo, Sezione IV, 28 aprile 2011, n. 23292, Millo ed altri, rv. 250710).
Sotto tale ultimo profilo, va evidenziato che i giudici di merito hanno accertato l’esistenza nel cantiere della consuetudine di gettare i materiali di scarto dall’alto, in particolare quelli di più piccole dimensioni, con ciò dovendosi escludere ogni profilo di imprevedibilità alla condotta del lavoratore infortunatosi.
In coerenza a tale principio ed alla luce della ricostruzione del fatto sopra indicata, la Corte di merito ha correttamente escluso la sussistenza di una condotta anomala del dipendente tale da rendere inesigibile la vigilanza del coordinatore per l’esecuzione.
A fronte di un apparato argomentativo esente da violazioni di legge e logicamente sviluppato, il dissenso “di merito” , espresso in ricorso, fondato su una ricostruzione della condotta del lavoratore al di fuori della di rischio definito dalla lavorazione in corso.
Basta ricordare- così fornendo risposta alla censura formulata con il terzo motivo- che, in caso di infortunio sul lavoro, non è consentito al titolare della posizione di garanzia invocare a propria discolpa, per farne discendere l’interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, c.p.), la legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso titolare della posizione di garanzia versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l’evento lesivo cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in condizioni di pericolo, ciò che qui è indiscutibile (cfr. Sezione IV, 25 marzo 2011, D’Acquisto).
Le censure sull’affermata esclusione dell’abnormità della condotta del lavoratore sono, pertanto, infondate.
Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in data 21 maggio 2015.
(Fonte: OLYMPUS – Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro)
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