Cassazione Penale, Sez. 4, 26 aprile 2013, n. 18651 – Modifica strutturale intervenuta nel corso dei lavori e omissione nell’adeguamento del PSC: responsabilità di un coordinatore in fase di esecuzione

Responsabilità di un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione per aver violato il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92 non avendo provveduto ad adeguare il piano di sicurezza e coordinamento (PSC) in relazione alla modifica strutturale intervenuta nel corso dei lavori all’interno del capannone in costruzione presso la Bridgestone, e ad organizzare la reciproca informazione tra i datori di lavoro, così cagionando la morte di G.G. e le lesioni gravi a carico di D. G., i quali, impegnati nella realizzazione della soletta collaborante di completamento del solaio prefabbricato del secondo piano del capannone, erano precipitati al suolo a causa del cedimento delle strutture poggianti delle lastre prefabbricate dove i lavoratori si trovavano ad operare.

 

Assolto in primo grado, viene condannato in appello. Ricorso in Cassazione – Rigetto.

Afferma la Corte che “secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di prevenzione antinfortunistica, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori non è assegnato esclusivamente il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso cantiere, bensì anche quello di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle stesse delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 27442/2008, Rv. 240961; Cass., Sez. 4, n. 32142/2011, Rv. 251177), spettando al coordinatore per l’esecuzione dei lavori la titolarità di un’autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalla legge, si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche (Cass., Sez. 4, n. 38002/2008, Rv. 241217; Cass., Sez. 4, n. 18472/2008, Rv. 240393), e comprende, non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la loro effettiva predisposizione, nonchè il controllo contìnuo ed effettivo sulla concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che esse siano trascurate o disapplicate, nonchè, infine, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Cass., Sez. 4, n. 46820/2011, Rv. 252139).

Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è dunque tenuto a verificare, attraverso un’attenta e costante opera di vigilanza, l’eventuale sussistenza di obiettive situazioni di perìcolo nel cantiere (Cass., Sez. 4, n. 46820/2011, ult. cit.), e tanto, in relazione a ciascuna fase dello sviluppo dei lavori in corso di esecuzione (Cass., Sez. 4, n. 32142/2011, cit.).

Nel caso di specie, la corte ha logicamente tratto, dall’accertata avvenuta acquisizione della conoscenza (sia pure di fatto), da parte dell’imputato, dell’avvenuta apertura di varchi tra i piani del capannone in corso di realizzazione, l’insorgenza dello specifico dovere, riferibile alla sua posizione funzionale, di procedere all’immediata adozione di tutte le cautele concretamente necessarie a impedire che l’esecuzione di attività lavorative in prossimità di tali varchi potesse costituire un possibile pericolo per i lavoratori ivi coinvolti.”


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente –
Dott. IZZO Fausto – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
M.N. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 2458/2009 CORTE APPELLO di BARI, del 03/06/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 20/03/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARCO DELL’UTRI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Policastro Aldo che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
Udito il difensore Avv. Sperano Vincenzo del foro di Roma che ha concluso per l’annullamento della sentenza.

Fatto

1. – Con sentenza resa in data 3.6.2011, la Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza del giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Bari dell’8.5.2009, ha condannato M.N. alla pena di un anno di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore delle parti civili costituite, in relazione ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose commessi, in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, rispettivamente, ai danni di G.G. e di Ga.Gi., in (Omissis).
Con la sentenza d’appello, la corte territoriale ha riformato la sentenza di primo grado che aveva assolto l’imputato dai reati allo stesso ascritti per non aver commesso il fatto.
In particolare, all’imputato era stata contestata, in qualità di coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione, di aver violato ilD.Lgs. n. 81 del 2008, art. 92 non avendo provveduto ad adeguare il piano di sicurezza e coordinamento (PSC) in relazione alla modifica strutturale intervenuta nel corso dei lavori all’interno del capannone in costruzione presso la Bridgestone, e ad organizzare la reciproca informazione tra i datori di lavoro, così cagionando la morte di G.G. e le lesioni gravi a carico di D. G., i quali, impegnati nella realizzazione della soletta collaborante di completamento del solaio prefabbricato del secondo piano del capannone, erano precipitati al suolo a causa del cedimento delle strutture poggianti delle lastre prefabbricate dove i lavoratori si trovavano ad operare.
Avverso la sentenza d’appello, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, sulla base di sette motivi di impugnazione.
2.1. – Con il primo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, in relazione all’art. 192 c.p.p., art. 530 c.p.p., comma 2, e art. 533 c.p.p., comma 3, nonchè vizio di motivazione.
In particolare, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia ritenuto raggiunta la prova della colpevolezza dell’imputato sulla base di un ragionamento d’indole critica viziato da presunzioni e congetture, siccome non fondato su dati certi idonei ad attestare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’effettiva responsabilità penale dell’imputato, con particolare riguardo alla circostanza dell’effettiva conoscenza, da parte del M., delle modifiche apportate al progetto originario dei lavori relativi al capannone de quo la cui realizzazione ebbe a determinare l’evento lesivo oggetto dell’odierno giudizio.
Nella specie, la corte d’appello ha ritenuto che l’imputato fosse a conoscenza della ridetta variante sul solo presupposto di natura esclusivamente presuntiva costituito dalla qualifica di coordinatore per la sicurezza su incarico della società committente.
A tale scopo, peraltro, neppure può ritenersi valutabile la dichiarazione resa dall’imputato in relazione all’avvenuta conoscenza di fatto della modifiche intervenute al progetto originario, riguardanti la creazione di aperture in corrispondenza dei piani del capannone, trattandosi di un contenuto conoscitivo ben diverso dalla più approfondita consapevolezza delle modifiche strutturali del progetto di variante.
2.2. – Con il secondo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per manifesta illogicità della motivazione, avendo la corte d’appello trascurato di dettare una motivazione approfondita e completa a dispetto della corrispondente articolata e complessa motivazione attraverso la quale il giudice di prime cure aveva raggiunto la convinzione della non colpevolezza dell’imputato, senza fermare le proprie valutazione al riscontro di meri elementi formali, ma procedendo a un’analitica disamina delle valutazioni tecniche condotte nel corso delle indagini preliminari (dalle quali era rimasto escluso che il M. avesse ricevuto formalmente comunicazione della necessità di utilizzare attrezzature provvisionali di montaggio e di puntelli per assicurare la stabilità dei tegoli prefabbricati), nonchè delle dichiarazioni dei sommali informatori e dello stesso imputato ascoltati nel corso del procedimento.
Lo stesso giudice di primo grado aveva, inoltre, sottolineato come il M., constatata la presenza del varco richiesto dalla Bridgestone, si era preoccupato di creare nell’apposito piano di sicurezza l’impalcatura per proteggere le aperture verso il basso dell’apposito parapetto, senza da ciò trarre, come apoditticamente fatto dalla corte d’appello, la conferma probatoria della conoscenza del progetto di variante da parte dell’imputato, che, in ogni caso, non avrebbe comunque assicurato alcuna certezza sulla possibilità, da parte dell’imputato, di accorgersi del rischio di cedimento da cui ebbe a derivare l’evento lesivo oggetto di giudizio, atteso che il difetto di progettazione relativo alla variante in esame era rimasto occulto fino alla verificazione dell’evento, sì che il M. mai avrebbe potuto sospettare il ridetto rischio di cedimento e così realizzare i necessari accorgimenti al fine di evitare il crollo poi verificatosi.
A tale riguardo, il giudice di primo grado aveva condivisibilmente rilevato l’inesistenza di alcuna norma che obbligasse il coordinatore dei lavori a vagliare l’esattezza dei calcoli del piano dei lavori predisposto da altra impresa (salvo che non fossero macroscopici e facilmente riconoscibili), senza che quest’ultima avesse evidenziato alcun rischio conseguente alla modifica dei tegoli in prossimità delle aperture di cui alla variante del progetto originario del capannone.
Più in particolare, sotto il profilo del nesso causale omissivo, il giudice di prime cure ha ritenuto del tutto irrilevanti le manchevolezze del piano di sicurezza predisposto dall’imputato (afferenti a fattispecie diverse da quelle che hanno poi determinato l’evento lesivo oggetto di giudizio), poichè, se anche il piano di sicurezza fosse stato redatto nel più diligente dei modi, il rischio di caduta non sarebbe stato eliso, tale rischio essendo specificamente derivato dal difetto di progettazione della variante (mai sottoposta alla valutazione del coordinatore dei lavori) costituente la sola e reale causa scatenante dell’evento infausto.
Su ciascuno di tali temi – riguardanti gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa relativi alla colpa rimproverabile all’imputato e al nesso causale tra l’omissione contestata e l’evento verificatosi – la decisione emessa dalla corte d’appello deve ritenersi totalmente lacunosa, avendo totalmente mancato di confutare gli argomenti adottati a sostegno della ritenuta non colpevolezza dell’imputato attestata nella sentenza di primo grado.
2.3. – Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, in relazione agli artt. 40, 41 e 43 c.p. con riguardo all’applicazione della causalità omissiva, nonchè omessa motivazione sul rapporto di causalità tra le violazioni cautelari contestate e l’evento, oltre che sull’incidenza del difetto progettuale nel percorso causale.
Sul punto, il ricorrente si duole che la corte territoriale abbia omesso di indagare sull’elemento psicologico della colpa e sul nesso eziologico tra quest’ultima e l’evento, essendosi la stessa limitata ad ascrivere l’addebito a carico dell’imputato sulla base della sola posizione di garanzia dallo stesso rivestita, senza approfondire il profilo colposo della condotta omissiva allo stesso contestata e sul ruolo eziologico dalla stessa spiegato in relazione alla produzione dell’evento lesivo, con particolare riguardo alla prevedibilità dell’evento alla luce delle evidenze disponibili e della causalità tra l’adempimento delle regole cautelari imposte e la verificazione dell’evento.
In particolare, la corte avrebbe omesso di seguire un percorso motivazionale serio e razionale nell’analisi dell’incidenza dei difetti contenuti nella variante modificativa dell’originario progetto del capannone (riconducibili alla responsabilità di altri soggetti), sulla prevedibilità del rischio di crollo e sul collegamento causale tra la violazione cautelare e la frattura della lastra posizionata sulle ali dei tegoli, atteso che, come condivisibilmente ritenuto dal giudice di primo grado, l’adeguamento del piano di sicurezza e coordinamento non avrebbe mai potuto evitare o prevedere un rischio occulto, insito nell’errore progettuale.
Nè tele indagine poteva ritenersi esaurita nell’accertamento della conoscenza delle modifiche progettuali da parte dell’imputato, atteso che dette modifiche celavano un errore che induceva a ritenere stabile la struttura, con la conseguente impossibilità per il coordinatore, quand’anche avesse visionato la tavola progettuale, di prevedere un rischio occulto nascosto dall’errata valutazione commessa dal progettista.
Sotto altro profilo, la sentenza impugnata trascura ogni indagine rispetto all’eventuale doverosità del controllo sul progetto da parte del coordinatore per la sicurezza; doverosità che, qualora accertata, avrebbe consentito di concludere in ordine alla rimproverabilità dalla condotta: rimproverabilità esclusa dal giudice di primo grado sulla base della già rilevata inesistenza di alcuna norma che obblighi il coordinatore di lavori a vagliare la bontà e l’esattezza dei calcoli relativi al piano di lavoro predisposto da altra impresa esecutrice (salvi errori macroscopici e facilmente riconoscibili) che nulla aveva evidenziato in ordine al rischio conseguente alla modifica di tegoli in prossimità delle aperture volute nella variante del progetto originario del capannone.
Allo stesso modo, la sentenza impugnata omette di procedere al compimento di alcun esame in ordine alla sussistenza del nesso eziologico tra l’eventuale violazione della regola cautelare e l’evento, trascurando qualsiasi indagine sulla causalità della colpa, viceversa adeguatamente risolto dal primo giudice, il quale ha individuato la sola e reale causa scatenante dell’evento infausto nei difetti di progettazione de quibus, le cui conseguenze nessun piano di sicurezza avrebbe potuto prevedere e prevenire.
2.4. – Con il quarto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge, in relazione al D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 92 e 97.
In particolare, l’imputato si duole che la corte territoriale abbia affermato che l’incarico di coordinatore per la sicurezza comporti per sua natura un’assoluta consapevolezza di ogni aspetto tecnico concernente la progettazione ed esecuzione dei lavori, atteso che l’art. 92 cit. pone a carico del coordinatore per la sicurezza il preciso dovere di realizzare il piano di sicurezza e coordinamento e il relativo adeguamento in relazione all’evoluzione dei lavori e alle modifiche intervenute, riferendosi a vicende integrative successive alla progettazione delle modifiche e destinate ad aggiungere eventuali e necessarie ulteriori misure di sicurezza utili a prevenire nuovi rischi in relazione alla sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che detto adeguamento interviene nella fase dell’esecuzione della modifica progettuale e non già durante la progettazione della stessa.
Conseguentemente, deve ritenersi escluso che incomba sul coordinatore il dovere (in concreto irrealizzabile) di verificare le condizioni di sicurezza del progetto, da ritenersi viceversa gravante sulla persona del datore di lavoro dell’impresa affidataria dei lavori, in conformità alle previsioni di cui all’art. 97 cit..
2.5. – Con il quinto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per vizio di motivazione in relazione all’omessa valutazione di circostanze acquisite agli atti e specificamente indicate nel motivo di gravame.
In particolare, si duole il ricorrente che la corte territoriale abbia limitato l’esame della consulenza tecnica del pubblico ministero alla sola circostanza della variante in corso d’opera costituita dalla realizzazione dell’apertura nel solaio e dall’eliminazione di uno dei tegoli, trascurando di considerare le fondamentali fasi successive consistite nel taglio dell’ala del tegolo adiacente a quello eliminato e nella sovrapposizione di lastre prefabbricate alle ali dei tegoli delimitanti l’apertura.
La parziale valutazione della consulenza del pubblico ministero deve ritenersi tale da compromettere in modo decisivo la tenuta logica della sentenza impugnata, atteso che l’affermazione della corte territoriale, secondo cui il contenuto delle modifiche al progetto originario fosse limitata alla mera creazione di un varco con l’eliminazione di uno dei tegoli, è assolutamente incompatibile con il contenuto complessivo della richiamata consulenza.
Infatti, se la corte territoriale avesse considerato non solo l’avvenuta eliminazione di un tegolo, ma anche il taglio dell’ala del tegolo adiacente e il posizionamento di una lastra sulle ali dei tegoli, non avrebbe potuto sostenere che la predisposizione, da parte dell’imputato, di un’impalcatura e di un parapetto valesse a dimostrare l’effettiva conoscenza del progetto modificativo contenuto nella tavola A-2, attraverso il quale si posizionarono parti strutturali (lastre in cemento) su parti sollecitate da taglio e flessione.
Ove l’imputato avesse conosciuto nei dettagli il progetto di variante avrebbe predisposto misure diverse da quelle in realtà realizzate, ossia misure di prevenzione dal rischio di cedimento strutturale, che non furono predisposte proprio perchè il progetto non era da lui conosciuto, emergendo in tal senso la manifesta illogicità della motivazione della sentenza d’appello, per non avere la corte territoriale valutato circostanze decisive acquisite agli atti del processo e contenute nella consulenza tecnica del pubblico ministero.
2.6. – Con il sesto motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa motivazione sulla condotta alternativa doverosa come risultante dagli atti del processo, avendo la corte territoriale omesso di specificare il concreto contenuto delle azioni che si addebitano all’imputato come condotte alternative alle contestate omissioni, non avendo il giudice d’appello proceduto alla specificazione delle modalità di estrinsecazione delle condotte alternative dovute e non osservate dall’imputato.
2.7. – Con l’ultimo motivo, il ricorrente si duole della contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui, dapprima avvalora la circostanza per cui l’imputato, venuto a conoscenza dell’apertura dei varchi ai piani, si fosse adoperato per la creazione nel piano di sicurezza di impalcature e protezioni con gli appositi parapetti, e successivamente addebita al medesimo imputato di non essersi attivato presso l’impresa responsabile al fine di realizzare le necessarie condizioni di sicurezza progettuali ed esecutive.

Diritto

3.1. – Il primo e il quarto motivo di ricorso (congiuntamente esaminabili in relazione all’intima connessione delle questioni dedotte) sono infondati.
La corte territoriale, con motivazione dotata di adeguata linearità sul piano logico e del tutto conseguente in termini argomentativi, ha ragionevolmente ascritto alla posizione funzionale assunta dal M. (coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione) la concreta sussistenza di precisi doveri d’iniziativa e di responsabilità, sul piano della conoscenza effettiva dei processi lavorativi in corso e dei necessari accorgimenti funzionali alla preservazione della tutela delle condizioni di salute e di sicurezza dei lavoratori impegnati nelle lavorazioni riguardanti l’appalto oggetto dell’odierno giudizio.
Giova, sul punto, osservare come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di prevenzione antinfortunistica, al coordinatore per l’esecuzione dei lavori non è assegnato esclusivamente il compito di organizzare il lavoro tra le diverse imprese operanti nello stesso cantiere, bensì anche quello di vigilare sulla corretta osservanza da parte delle stesse delle prescrizioni del piano di sicurezza e sulla scrupolosa applicazione delle procedure di lavoro a garanzia dell’incolumità dei lavoratori (Cass., Sez. 4, n. 27442/2008, Rv. 240961; Cass., Sez. 4, n. 32142/2011, Rv. 251177), spettando al coordinatore per l’esecuzione dei lavori la titolarità di un’autonoma posizione di garanzia che, nei limiti degli obblighi specificamente individuati dalla legge, si affianca a quelle degli altri soggetti destinatari delle norme antinfortunistiche (Cass., Sez. 4, n. 38002/2008, Rv. 241217; Cass., Sez. 4, n. 18472/2008, Rv. 240393), e comprende, non solo l’istruzione dei lavoratori sui rischi connessi alle attività lavorative svolte e la necessità di adottare tutte le opportune misure di sicurezza, ma anche la loro effettiva predisposizione, nonchè il controllo contìnuo ed effettivo sulla concreta osservanza delle misure predisposte al fine di evitare che esse siano trascurate o disapplicate, nonchè, infine, il controllo sul corretto utilizzo, in termini di sicurezza, degli strumenti di lavoro e sul processo stesso di lavorazione (Cass., Sez. 4, n. 46820/2011, Rv. 252139).
Il coordinatore per l’esecuzione dei lavori è dunque tenuto a verificare, attraverso un’attenta e costante opera di vigilanza, l’eventuale sussistenza di obiettive situazioni di pericolo nel cantiere (Cass., Sez. 4, n. 46820/2011, ult. cit.), e tanto, in relazione a ciascuna fase dello sviluppo dei lavori in corso di esecuzione (Cass., Sez. 4, n. 32142/2011, cit.).
Nel caso di specie, la corte ha logicamente tratto, dall’accertata avvenuta acquisizione della conoscenza (sia pure di fatto), da parte dell’imputato, dell’avvenuta apertura di varchi tra i piani del capannone in corso di realizzazione, l’insorgenza dello specifico dovere, riferibile alla sua posizione funzionale, di procedere all’immediata adozione di tutte le cautele concretamente necessarie a impedire che l’esecuzione di attività lavorative in prossimità di tali varchi potesse costituire un possibile pericolo per i lavoratori ivi coinvolti.
In modo del tutto conseguente e congruo sul piano logico, la corte territoriale ha quindi escluso che la mancata comunicazione per le vie formali all’imputato delle modificazioni apportate al progetto originario dei lavori valesse ad assolverlo dal dovere di rispondere, in termini reattivi, dei doveri immediatamente riferiti ai propri compiti funzionali, una volta accertata la circostanza dell’avvenuta acquisizione aliunde della conoscenza delle predette modificazioni al progetto originario.
Devono, quindi, ritenersi del tutto privi di fondamento i motivi di censura su tali punti illustrati dal ricorrente, dovendo ritenersi pienamente condivisibile, sul piano della correttezza logica del ragionamento, l’affermazione della corte territoriale che, una volta accertata la conoscenza, da parte dell’imputato, delle modalità di esecuzione dei lavori concretamente in corso, ha riconosciuto la responsabilità di quest’ultimo nel non aver immediatamente provveduto all’adozione di tutte le cautele indispensabili, tanto sotto il profilo dell’adeguamento del piano per la sicurezza e il coordinamento, quanto sotto il profilo delle informazioni da trasmettere ai responsabili delle lavorazioni in corso, ai fini del ripristino delle condizioni di piena sicurezza per la salute e l’integrità dei lavoratori.
3.2. – Il secondo, il terzo, il sesto e il settimo motivo (congiuntamente esaminabili, anche in ragione della parziale connessione delle questioni dedotte) sono infondati.
Premesso quanto già rilevato in relazione ai doveri insorgenti a carico dell’imputato a seguito dell’avvenuta acquisizione della conoscenza della novità progettuale consistente nell’apertura dei varchi tra i piani del capannone (novità che avrebbe imposto l’immediata verifica della persistente adeguatezza degli accorgimenti e delle misure di sicurezza già previste nel redatto piano per la sicurezza e il coordinamento), la corte territoriale ha puntualmente richiamato le considerazioni sviluppate nella consulenza tecnica disposta dal pubblico ministero, secondo le quali l’evento ch’ebbe a determinare gli infortuni sul lavoro oggetto dell’odierno giudizio fosse riconducibile, non già a un caso fortuito, bensì all’assoluta ed evidente mancanza di valutazione del calcolo della resistenza delle ali dei tegoli, sollecitati a flessione e taglio in conseguenza dell’apporto delle lastre prefabbricate (pag. 3 della sentenza d’appello).
Il rilievo di tale difetto progettuale (che, nel richiamare i contenuti della consulenza tecnica del pubblico ministero, la stessa corte territoriale ha riconosciuto “assoluto” ed “evidente”) non poteva dunque essere trascurato dal soggetto ex professo preposto alla verifica delle condizioni della sicurezza sul lavoro (titolare di una specifica posizione di garanzia sul punto), il quale, presa conoscenza della novità progettuale, avrebbe immediatamente dovuto procedere al compimento di un’analitica disamina della persistente sussistenza delle condizioni di sicurezza dei lavori in corso di esecuzione sui piani aggrediti dall’apertura dei varchi, apparendo d’intuibile evidenza l’avvenuto stravolgimento della distribuzione dei carichi, degli equilibri e delle sollecitazioni determinate da una simile modificazione strutturale, sì da indurre lo stesso giudice di primo grado (su tale aspetto puntualmente richiamato dalla corte d’appello) a riconoscere come la previsione di detta modificazione avrebbe reso indispensabile l’immediato puntellamento di tutti i piani in corrispondenza dei varchi prima della posa in opera della gettata di calcestruzzo (pag. 3 della sentenza d’appello), sì che la circostanza che i difetti progettuali de quibus fossero rimasti occulti fino alla verificazione dell’evento, non esclude la piena rilevabilità degli stessi ex ante da parte del soggetto professionalmente preposto alla verifica della sussistenza di tutte le condizioni di sicurezza funzionali alla preservazione dell’integrità dei lavoratori impegnati nelle lavorazioni in corso.
E’ appena il caso di evidenziare, peraltro, come, secondo il costante insegnamento di questa corte di legittimità in materia di infortuni sul lavoro, sul coordinatore per l’esecuzione dei lavori, oltre all’assicurazione del collegamento fra l’impresa appaltatore e quella committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, incombe altresì lo specifico obbligo di adeguare il piano di sicurezza in relazione all’evoluzione dei lavori, oltre a quello di vigilare sul rispetto del piano stesso e di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni, diversamente incorrendo nelle conseguenti responsabilità derivanti dalla violazione di tale posizione di garanzia (Cass., Sez. 4, n. 24010/2003, Rv. 228565), di tal che il crollo verificatosi all’interno del cantiere deve ritenersi certamente attribuibile alla responsabilità del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, per avere quest’ultimo omesso di segnalare il riscontrato pericolo al committente e per non avere nella sua imminenza provveduto altresì a ordinare la sospensione dei lavori (v. Cass., Sez. 4, n. 17502/2008, Rv. 239524).
Le argomentazioni sin qui evidenziate valgono, pertanto, ad attestare l’assoluta infondatezza delle censure sollevate dal ricorrente avverso la sentenza impugnata con riguardo all’asserita mancata specificazione – tanto sul piano della violazione di legge, quanto su quello dell’inadeguatezza o dell’omissione motivazionale – degli obblighi cautelari individuabili come alternative di comportamento corretto omesse dall’imputato, della relativa esigibilità nei confronti di quest’ultimo e della sussistenza di un preciso nesso di “causalità della colpa”, ossia della piena idoneità, dell’alternativa prospettata, a scongiurare la verificazione dell’evento o, quantomeno, una sua verificazione con effetti lesivi diversi da quelli in concreto vetrificatisi.
Nel caso di specie, infatti, la corte territoriale ha del tutto logicamente evidenziato come il comportamento alternativo corretto colpevolmente omesso dall’imputato (e dallo stesso pienamente esigibile, in considerazione delle relative competenze e responsabilità professionali e di ruolo) fosse individuabile nell’immediato adeguamento del piano di sicurezza e coordinamento, nell’adempimento dell’obbligo di reciproca informazione delle ditte interessate all’esecuzione delle opere (pagg. 4-5 della sentenza d’appello), nonchè nel puntellamento di tutti i piani in corrispondenza dei varchi previsti prima della posa in opera del calcestruzzo (pag. 3 della sentenza d’appello).
Allo stesso modo, la corte territoriale ha specificamente correlato il giudizio d’idoneità causale di detti comportamenti a impedire la verificazione dell’evento alle stesse previsioni contenute nella relazione della consulenza tecnica disposta nel corso delle indagini preliminari, secondo le quali la corretta valutazione del calcolo delle resistenze delle ali dei tegoli, sollecitate a flessione e taglio in conseguenza dell’apporto delle lastre prefabbricate, avrebbe certamente impedito il crollo delle lastre del secondo impalcato, una volta provveduto al puntellamento di tutti i piani in corrispondenza dei varchi previsti.
Il complesso delle considerazioni così compendiate nella sentenza in questa sede impugnata deve ritenersi pienamente congruente sul piano della linearità logica e della consequenzialità argomentativa, sì da sfuggire integralmente a tutte le censure al riguardo sollevate dall’odierno ricorrente.
3.3. – Il quinto motivo di ricorso è totalmente infondato. La censura sul punto sollevata dal ricorrente non individua alcuna contraddizione nel ragionamento sviluppato nella motivazione della sentenza d’appello, avendo quest’ultima logicamente evidenziato come la sola conoscenza, da parte dell’imputato, della prospettata apertura di varchi in corrispondenza dei piani del capannone avrebbe dovuto imporre l’immediato aggiornamento e adeguamento del piano per la sicurezza e il coordinamento alle modifiche intervenute, con la conseguente specifica disamina delle nuove condizioni da soddisfare al fine di realizzare compiutamente e concretamente le condizioni di sicurezza del lavoro in corrispondenza dell’apertura di detti varchi.
Appare, pertanto, del tutto strumentale l’affermazione del ricorrente secondo cui la corte territoriale, ove avesse considerato, oltre all’avvenuta eliminazione di un tegolo, anche il taglio dell’ala del tegolo adiacente e il posizionamento di una lastra sulle ali dei tegoli, non avrebbe potuto sostenere che la predisposizione, da parte dell’imputato, di un’impalcatura e di un parapetto valesse a dimostrare l’effettiva conoscenza del progetto modificativo contenuto nella tavola A-2, atteso che la sola informale conoscenza della previsione dell’apertura dei varchi nei piani del capannone avrebbe dovuto sollecitare l’impegno di aggiornamento omesso dall’imputato, il quale, come già in precedenza precisato, presa conoscenza della novità progettuale, avrebbe immediatamente dovuto procedere al compimento di un’analitica disamina della persistente sussistenza delle condizioni di sicurezza dei lavori in corso di esecuzione sui piani interessati dall’apertura dei varchi, apparendo d’intuibile evidenza l’avvenuto stravolgimento della distribuzione dei carichi, degli equilibri e delle sollecitazioni determinate da una simile modificazione strutturale, sì da indurre lo stesso giudice di primo grado (su tale aspetto puntualmente richiamato dalla corte d’appello) a riconoscere come la previsione di detta modificazione avrebbe reso indispensabile l’immediato puntellamelo di tutti i piani in corrispondenza dei varchi prima della posa in opera della gettata di calcestruzzo.
Ciò premesso, proprio tali argomentazioni inducono a ritenere rimproverabile all’imputato la mancata predisposizione di misure diverse da quelle in realtà realizzate, ossia misure di prevenzione del rischio di cedimento strutturale, la cui omissione (in nessun modo considerabili “inevitabili” per l’imputato e certamente connesse sul piano causale con l’evento infausto verificatosi) integra il contenuto dell’imputazione in questa sede sollevata a suo carico.
4. – Sulla base delle argomentazioni che precedono, dev’essere attestata l’integrale infondatezza di tutti motivi di doglianza avanzati dal ricorrente, con il conseguente rigetto del relativo ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2013

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