Cassazione Penale, Sez. 4, 28 aprile 2014, n. 17800 – Fare “quello che c’è da fare”: mancata formazione e responsabilità di un datore di lavoro e del coordinatore per la sicurezza per la morte di un operaio

Fatto

1. Con sentenza del 17 marzo 2009 il Tribunale di Cremona dichiarava M.G. e V.P. responsabili del delitto di omicidio colposo, commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno di C.A. , e previa concessione ad entrambi delle attenuanti generiche, stimate equivalenti alla contestata aggravante, condannava ciascuno alla pena di mesi sei di reclusione, con i benefici di legge. Secondo l’accertamento condotto nel grado di merito, il 16 luglio 2005 – nel cantiere edile di Casalmaggiore nel quale si svolgevano lavori di costruzione di un complesso residenziale appaltati dalla “Impresa Costruzioni Casalasca di B. Fortunato e Franco s.n.c.” alla “B. Costruzioni S.r.l.”, che a sua volta li aveva subappaltati alla ditta individuale “MK EDIL di M.G. ” – il C. , al suo primo giorno di lavoro quale dipendente del M. , stava eseguendo il disarmo di una trave di gronda in cemento armato collocato sul muro perimetrale dell’edificio quando questa, dopo essere stati tolti i puntelli sottostanti, si era capovolta travolgendolo e schiacciandolo. Nell’occorso il lavoratore riportava lesioni personali che ne comportavano il decesso la sera stessa dell’accaduto. Ritenuto accertato che l’infortunio era stato determinato dal fatto che il disarmo della trave era stato praticato prima che il tetto fosse stato completato, e quindi prima che lo stesso venisse a stabilizzare la trave, il M. veniva giudicato responsabile del sinistro perché, in qualità di datore di lavoro dell’operaio deceduto, aveva redatto un piano operativo di sicurezza assolutamente generico, che non evidenziava i rischi specifici connessi alle modalità di costruzione dell’edificio ed in particolare relativi all’esecuzione delle gronde; ed aveva altresì omesso qualsiasi valutazione dei rischi e di prevedere e disporre che si attendesse la posa del tetto per effettuare il disarmo.
Quanto al V. , coordinatore per la sicurezza sia nella fase di progettazione dei lavori che in quella di esecuzione degli stessi, al medesimo veniva ascritto di aver redatto un piano di sicurezza e di coordinamento non conforme ai requisiti indicati nell’articolo12 del d.lgs. n. 494/1996, giacché con riguardo alla pericolosa operazione di disarmo delle gronde era stato semplicemente indicato che tale attività dovesse avvenire dopo quella relativa alla posa del tetto e che il disarmo doveva essere eseguito da operai specializzati, quale non era il C. , senza ulteriori specificazioni o indicazioni.
Inoltre il V. non aveva debitamente verificato il carente piano operativo di sicurezza predisposto all’impresa subappaltatrice; cosa che se fatta avrebbe comportato la necessaria modifica o integrazione del medesimo.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello ha disatteso ogni prospettazione difensiva.
Quanto al M. giudicava indimostrata la circostanza dell’essersi questi limitato a fornire mera manodopera alla ditta B.; in punto di fatto, dal contratto del 2 gennaio 2005 intervenuto tra la società B. Costruzioni S.r.l. e la ditta individuale di M.G. MK EDIL risultava emergere un ordinario contratto di subappalto in forza del quale la ditta del M. si impegnava ad effettuare per conto della prima una serie di lavori nel cantiere in questione, dichiarando di avere, oltre all’idoneità tecnico professionali necessaria, anche il capitale, le macchine e attrezzature necessarie e sufficienti per garantire l’esecuzione delle opere ad essa affidate, oggetto del contratto.
Nel documento il M. dichiarava, altresì, di aver preso conoscenza dei luoghi e di tutte le altre circostanze attinenti al lavoro ed esaminati tutti gli aspetti del progetto di costruzione, gli elaborati progettuali impegnandosi con la controparte ad assumersi gli oneri relativi alla materia necessaria l’esecuzione dell’opera e alla manodopera con i relativi oneri contributivi fiscali salariali e gli adempimenti di una sicurezza sul lavoro e sicurezza sul cantiere.
Il dato documentale, ha aggiunto la Corte di Appello, risultava coerente con quanto emerso in dibattimento in merito al ruolo attivo e all’ingerenza del M. nell’organizzazione e gestione del cantiere. Richiamava al riguardo la testimonianza del G. , il quale aveva riferito che le gronde erano state eseguite dei dipendenti del M. su ordine del medesimo e che la mattina dell’infortunio egli aveva accompagnato sul cantiere la vittima, al suo primo giorno di lavoro, proprio su indicazioni del M. , con l’incarico di fare ciò che rimaneva da concludere nel cantiere; dal che era derivato che egli, pur non avendone ricevuto espressa indicazione del direttore dei lavori, aveva dato al C. l’ordine di eseguire il disarmo delle gronde poiché esse erano state posate già da circa un mese e quello era l’ultimo lavoro rimasto da compiere. In punto di diritto, ha concluso la Corte distrettuale, anche se il rapporto tra la ditta del M. e la B. Costruzioni fosse consistito in un illecito patto di fornitura di mera manodopera, ciò non avrebbe esentato il primo – quale datore di lavoro dell’infortunato – dalla posizione di garanzia nei confronti del proprio lavoratore dipendente. Su tali premesse la Corte di Appello ha ribadito il giudizio di assoluta inadeguatezza del piano operativo di sicurezza redatto dal M. , la violazione dell’obbligo di formazione e informazione dei lavoratori da lui dipendenti ed l’affermazione di sussistenza del nesso causale tra tali inadempimenti e l’evento quale si era determinato. A tale ultimo riguardo il giudice di secondo grado ha respinto la tesi di una condotta della vittima imprevista e imprevedibile, richiamandosi alle argomentazioni svolte in merito dal primo giudice, ed in particolare l’affermazione secondo la quale, poiché le gronde erano state eseguite da oltre un mese e si prospettava quindi l’eventualità di procedere al loro disarmo, non poteva ritenersi imprevista ed imprevedibile la condotta del lavoratore e anche quella del G. , che con una iniziativa autonoma aveva dato l’ordine di procedere al disarmo delle gronde. In ordine alle doglianze relative al trattamento sanzionatorio, queste sono state giudicate generiche e pertanto respinte.
Relativamente alla posizione del V. la Corte di Appello ha precisato che il coordinatore per l’esecuzione dei lavori non è tenuto a svolgere una puntuale, stringente quotidiana vigilanza sul cantiere. E tuttavia ha rilevato la inconsistenza e superficialità del piano di sicurezza e di coordinamento redatto dal V. , in specie con riferimento alla fase del disarmo delle gronde, rispetto alla quale, lungi dall’aver segnalato i rischi specifici ad essa connessi, le misure di prevenzione da adottare e soprattutto la tempistica con la quale effettuare le operazioni, l’imputato aveva liquidato il problema limitandosi a segnalare alla voce “cronologie e fasi lavorative”, contenente la successione cronologica delle attività svoltesi nel cantiere, la previsione dell’esecuzione del tetto del porticato ed il successivo disarmo delle gronde. Il tutto senza alcuna raccomandazione di sorta, in particolare senza segnalare che un anticipato disarmo delle armature delle gronde poteva comportare il rischio concreto di crollo, con le inevitabili conseguenze sotto il profilo della sicurezza dei lavoratori, e senza richiamare tutti gli addetti alla scrupolosa osservanza di tale tempistica, di fatto sottovalutando, o meglio mostrando di ignorare la potenzialità del pericolo, rappresentata dalla stessa presenza di cemento armato a sbalzo. Inoltre, ha aggiunto la Corte distrettuale, il V. , in violazione dell’articolo 5 lett. B) del d.lgs. n. 164/56, non si preoccupò neppure di verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza della ditta del M. , perché diversamente avrebbe dovuto evidenziare le lacune che lo inficiavano, in particolare quanto alla mancata previsione del rischio specifico rappresentato dal disarmo delle gronde. Pertanto, pur muovendo dal principio per il quale al coordinatore per l’esecuzione dei lavori competono funzioni di alta vigilanza, la Corte di Appello ha precisato che essa non è diretta solo ai lavoratori dipendenti dell’impresa esecutrice ma anche ai datori di lavoro delle imprese esecutrici, ed ha concluso per la sussistenza delle omissioni antinfortunistiche attribuite contestate al V. , rilevando che il G. aveva impartito l’ordine di disarmo delle gronde sulla base delle sole sue conoscenze proprio perché nessuno dei soggetti tenuti per legge a segnalare i rischi per la sicurezza lo aveva informato, oralmente o per iscritto, attraverso la predisposizione di idonei e completi documenti di valutazione dei rischi, della pericolosità di tale manovra, qualora attuata prima dell’ultimazione del tetto. Ove tali inadempienze non si fossero verificate l’infortunio, con ragionevole certezza, non si sarebbe realizzato. La Corte di Appello ha evidenziato che l’addebito di responsabilità a carico del V. faceva riferimento anche alla mancata adozione delle precauzioni necessarie ad impedire la caduta della trave di gronda, che era risultata non essere stata legata ad alcuna struttura, in violazione delle prescrizioni contenute nel decreto ministeriale del 20 novembre 1987, relativo alle norme tecniche per la progettazione, l’esecuzione ed il collaudo degli edifici in muratura. Il consulente tecnico del pubblico ministero aveva accertato che anche prima dell’ultimazione del tetto la gronda non sarebbe crollata, se disarmata, qualora fossero state rispettate le norme tecniche citate, che prevedono la realizzazione di collegamenti tra le pareti, la muratura e le gronde medesime; in particolare la trave che si era staccata (da cui usciva a sbalzo la gronda) non era stata in alcun modo legata con ancoraggi (non era stata “ammorsata”) e non erano stati posti in essere neppure collegamenti tra la gronda e la correa del solaio sottostante. Qualora fossero stati attuati gli accorgimenti dinanzi indicati il ribaltamento non si sarebbe verificato pur in assenza del tetto.
Concludeva la Corte distrettuale che poiché il fatto che la trave fosse semplicemente puntellata era situazione certamente a conoscenza del coordinatore per la sicurezza, posto che la realizzazione del manufatto risaliva a circa un mese prima, ed egli avrebbe dovuto prendere atto del potenziale pericolo costituito dalla recente struttura a sbalzo, la cui stabilità non era in alcun modo garantita, e quindi indire riunioni di cantiere sulla sicurezza, al fine di individuare le misure atte ad impedire la rimozione dei puntelli di sostegno prima del completamento del tetto.
3. Ricorre per cassazione V.P. a mezzo del difensore di fiducia, avvocato Gualazzini Cesare, e con motivo unico denuncia violazione di legge con riferimento agli articoli 40, 41, commi 2 e 3 cod. pen. nonché all’articolo 5, comma 1 lettere B) e C) d.p.r. n. 164/1956, ed altresì vizio motivazionale e travisamento della prova.
Ad avviso dell’esponente andava affermata l’assoluta imprevedibilità della condotta del G. , che aveva impartito l’ordine di disarmare la gronda nonostante fosse unicamente sorretta dai sottostanti puntelli. Rileva che nel cronoprogramma redatto dall’imputato era scritto che l’operazione di disarmo delle gronde, da affidare ad operai esperti, andava eseguita solo dopo la costruzione del tetto e quindi a maggior ragione l’ordine di eseguire tale operazione non poteva essere che del tutto imprevedibile, perché “demenziale anche a persone non dotate di particolari cognizioni in materia di vizi”. La sentenza – aggiunge l’esponente – non spiega in che modo il coordinatore, ignaro dell’assunzione del C. e del suo affidamento al G. medesimo, nonché dell’ordine da questi impartito, potesse impedire che si verificasse l’evento. Sicché causa esclusiva dell’evento era stata la decisione del G. di far disarmare la gronda. La sentenza impugnata per l’esponente è ispirata manifestamente ad un principio di responsabilità oggettiva nei confronti del V. , il quale non sapeva né poteva sapere del colloquio intervenuto tra il M. ed il G. , nessuno dei quali era autorizzato ad assumere decisioni in merito al disarmo della gronda. È poi apodittica l’affermazione secondo la quale una maggiore quantità di dettagli nel piano operativo della sicurezza avrebbe evitato la tragedia; vi è inoltre travisamento della prova laddove la Corte di Appello richiama la dichiarazione del G. secondo la quale nessuno gli aveva detto che non si poteva disarmare; l’assunto dell’esponente è quindi che il G. non abbia letto alcunché e che di conseguenza una maggiore adeguatezza del piano non avrebbe evitato l’evento. Ritiene l’esponente che non vi fosse alcuna carenza nel piano operativo di sicurezza predisposto dal coordinatore, essendo sufficiente osservare il cronoprogramma per evitare qualunque tipo di rischio e di pericolo. L’eventuale maggiore dettaglio del piano di sicurezza della ditta del M. non avrebbe avuto alcuna incidenza sul verificarsi dell’evento posto che il G. non avrebbe potuto esserne a conoscenza perché dipendente dell’impresa B.. Quanto alla ritenuta violazione delle regole tecniche previste per l’esecuzione di manufatti quali la trave in cemento armato più volte menzionata, rileva l’esponente che la trave si era capovolta staccandosi dal muro perimetrale unitamente a due file di forati, a dimostrazione che era ammorsata alle pareti circostanti; inoltre la gronda era perfettamente in sicurezza fintantoché rimaneva puntellata e quindi non erano necessari ulteriori accorgimenti tecnici per sostenerla in vista della costruzione del tetto. Pertanto, conclude il ricorrente, se le disposizioni impartite dal V. erano adeguate al punto da costituire il parametro per valutare le responsabilità altrui, costituisce un vero proprio paradosso logico ritenere che egli sia responsabile dell’accaduto.
4. L’avvocato Giambattista Scalvi ricorre per cassazione nell’interesse di M.G. . Con un primo motivo deduce violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione in punto di nesso causale. Rileva l’esponente che non è dato comprendere perché possa addebitarsi responsabilità al M. per l’operazione di lavoro intrapresa da un lavoratore in una fase di attività non idonea e per ordine di un carpentiere reo di aver assunto una decisione in assoluto spregio di quanto stabilito nel progetto, in mancanza di specifica autorizzazione del direttore dei lavori ed eventualmente del datore di lavoro appaltante principale, ovvero il B.. La condotta del G. era assolutamente imprevedibile né poteva essere prevista e comunque non poteva essere impedita dal M. , che non aveva obblighi di vigilanza su un lavoratore non alle sue dipendenze.
Con un secondo motivo si deduce violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla mancata concessione dell’attenuante di cui all’articolo 114 del codice penale ed al giudizio di bilanciamento delle circostanze. Lamenta il ricorrente che a fronte di più rilievi concernenti il trattamento sanzionatorio la Corte di appello non avrebbe potuto trattare unitariamente il tema ma avrebbe dovuto esaminare ciascuna delle richieste indipendentemente dal giudizio sulla pena base e giustificare la ragione del mancato accoglimento di quelle. Lamenta che il motivo relativo al bilanciamento di circostanze non è stato preso in alcun modo in considerazione; non può valere al riguardo la motivazione che si compendia nell’affermazione secondo la quale “la concessione delle circostanze attenuanti generiche in equivalenza sia misura fin troppo benevola”.

Diritto

5. I ricorsi sono infondati, nei termini di seguito precisati.
6.1. Prendendo in esame in primo luogo il ricorso proposto nell’interesse del M. , va ricordato ancora una volta che risulta pacifico che la ditta della quale egli era il titolare stava eseguendo i lavori di realizzazione del tetto dell’edificio, che contemplavano la preliminare costruzione della trave di gronda in cemento armato, va affermato che la sentenza impugnata è immune da vizi.
In quanto datore di lavoro del C. , il M. aveva l’obbligo di formarlo e di informarlo dei rischi connessi all’esecuzione del tetto secondo le modalità già ricordate, prevedenti il solo puntello della trave di gronda, e di fargli divieto di eseguire operazioni di disarmo della trave. Al contrario, come scrive la Corte di Appello, il M. affidò il C. , al suo primo giorno di lavoro come manovale di primo livello, al G. , con l’incarico di fargli fare “quello che c’è da fare”, nella più totale approssimazione, trascuratezza e violazione dei doveri di vigilanza. Siffatta condotta è appunto conseguenza della omessa considerazione nel piano operativo di sicurezza dei rischi connessi alla realizzazione delle strutture in cemento armato.
Sulla colpevole ignoranza o trascuratezza di siffatto rischio è quindi germinato il sommario affidamento del C. al G. ; né assume rilievo il fatto che sia stato questi ad impartire l’ordine di disarmare la gronda, o la considerazione che egli non avrebbe potuto in ogni caso leggere il POS della ditta M. , perché il dato essenziale non è quanto fatto dal G. ma piuttosto quanto non fatto dal M. , in termini di programmazione del rischio, formazione ed informazione del lavoratore. Va rammentato che “in tema di reati colposi, la causalità si configura non solo quando il comportamento diligente imposto dalla norma a contenuto cautelare violata avrebbe certamente evitato l’evento antigiuridico che la stessa norma mirava a prevenire, ma anche quando una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno” (Sez. 4, n. 19512 del 14/02/2008 – dep. 15/05/2008, P.C. in proc. Aiana, Rv. 240172).
In merito alla supposta cesura del nesso eziologico tra la condotta colposa del M. e l’infortunio, mette conto rammentare che la giurisprudenza di legittimità in tema di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento afferma che tali sono non solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall’agente, bensì anche quei fatti sopravvenuti che realizzano una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente (Sez. 4, n. 42502 del 25/09/2009 – dep. 05/11/2009, Begnardi e altri, Rv. 245460).
Nel caso che occupa, l’ordine impartito dal G. non può ritenersi imprevedibile alla luce delle carenze sopra evidenziate dell’attività della ditta del M. , dello stato dei lavori e della genericità delle indicazioni date al G. dal M. nell’affidargli il C. .
6.2. Non coglie il segno neppure il motivo concernente i profili incidenti sul trattamento sanzionatorio. La determinazione della pena tra il minimo ed il massimo edittale rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito ed è insindacabile nei casi in cui la pena sia applicata in misura media e, ancor più, se prossima al minimo, anche nel caso il cui il giudicante si sia limitato a richiamare criteri di adeguatezza, di equità e simili, nei quali sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013 – dep. 17/05/2013, Serratore, Rv. 256197).
Nel caso che occupa la pena di mesi sei di reclusione è pari al minimo edittale. Peraltro, la Corte di Appello ha escluso la concedibilità dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen. facendo esplicito riferimento al ruolo non marginale svolto dal M. nella vicenda; quanto al giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen. soddisfa l’onere motivazionale il richiamo del “gravissimo grado della colpa” in guisa giustificatrice della conferma della mera equivalenza delle attenuati generiche.
7.1. Il ricorso proposto nell’interesse del V. opera, con qualche sovrapposizione, riferimenti tanto alla sussistenza della condotta colposa – che si vorrebbe esclusa dalla previsione del cronoprogramma – che alla efficienza causale della medesima, assumendo che la condotta del G. ha natura di causa da sola sufficiente a determinare l’evento.
Entrambi i profili risultano erroneamente delineati.
Il primo chiama in causa il contenuto degli obblighi gravanti sul coordinatore per l’esecuzione dei lavori.
Mette conto rammentare che secondo le puntualizzazioni offerte da questa Corte, il coordinatore per l’esecuzione dei lavori ex art.5 D.Lgs. n. 494 del 1996, oltre ad assicurare il collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di realizzare la migliore organizzazione, ha il compito di vigilare sulla corretta osservanza delle prescrizioni del piano di sicurezza da parte delle stesse e sulla scrupolosa applicazione delle procedure a garanzia dell’incolumità dei lavoratori nonché di adeguare il piano di sicurezza in relazione alla evoluzione dei lavori, con conseguente obbligo di sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni (Sez. 4, n. 18651 del 20/03/2013 – dep. 26/04/2013, Mongelli, Rv. 255106). Ampliando lo sguardo, può rilevarsi come le figure del coordinatore per la progettazione ex art. 4 D.Lgs. n. 494 del 1996 e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori, ex art. 5 stesso D.Lgs., non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell’incolumità dei lavoratori (Sez. 4, n. 7443 del 17/01/2013 – dep. 14/02/2013, Palmisano e altri, Rv. 255102).
Risulta quindi conforme al quadro normativo di riferimento imputare al V. di aver redatto un piano di sicurezza e di coordinamento inadeguato, perché recante la sola successione cronologica delle attività da svolgersi in cantiere; di non aver verificato l’idoneità del piano operativo di sicurezza della ditta del M. , in particolare quanto alle previsioni concernenti il rischio specifico rappresentato dal disarmo delle gronde; di non aver assunto iniziative (quali, ad esempio, l’indire riunioni per individuare le misure atte ad impedire la rimozione dei puntelli di sostegno prima del completamento del tetto) idonee a verificare il grado di consapevolezza dei diversi attori in merito al rischio derivante dalla presenza della trave.
La sola previsione della successione cronologica delle diverse operazioni non può valere quale misura di sicurezza, perché tal ultimo concetto implica l’identificazione del rischio, la sua esplicitazione in termini convenzionali, l’individuazione di misure specificamente rivolte ad eliminare o ridurre al minimo possibile siffatto rischio, con l’indicazione dei ruoli e dei compiti chiamati a realizzare la misura in parola. Detto altrimenti, la misura di sicurezza deve segnalarsi inequivocabilmente come tale, onde proporsi ad ogni interessato come oggetto di comportamento doveroso, di attuazione e/o di osservanza.
Ove il piano di sicurezza fosse stato predisposto nel senso dianzi indicato, poiché il coordinatore per l’esecuzione dei lavori deve verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, che trovino applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, le disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento, il V. avrebbe potuto e dovuto assicurarsi che quanto in esso disposto per la procedura di disarmo della trave fosse stato conosciuto ed attuato dalle imprese esecutrici, e quindi tanto dalla ditta B., dalla quale dipendeva il G. , che dalla ditta M. .
Solo ove adempiuti tali doveri l’eventuale mancanza di informazioni lungo i livelli gerarchicamente sottordinati delle imprese esecutrici non potrebbe ricondursi al coordinatore medesimo.
Risulta quindi chiaro che i giudici di merito, lungi dall’ascrivere al V. un mancato controllo quotidiano delle attività condotte nel cantiere, hanno rimproverato al medesimo di aver posto le condizioni di fondo per il verificarsi dell’evento illecito, alla cui realizzazione hanno concorso anche altri soggetti, ma con condotte che non possono qualificarsi come imprevedibili sia per quanto appena osservato circa il carattere fondante degli inadempimenti del V. , sia perché non può valere quale causa da sola sufficiente a produrre l’evento un comportamento che per quanto colposo non sia abnorme, ovvero del tutto estraneo o avulsa dall’area di rischio sulla quale si proietta il dovere di sicurezza posto in capo all’autore della diversa condotta della cui valenza causale si discute. Nel caso che occupa, per quanto grave possa esser stata la negligenza, l’imprudenza e/o l’imperizia del G. (e del M. ), essa va comunque ricondotta alle attività lavorative condotte nel cantiere.
Attingono invece alla dimensione del merito (ovvero della ricostruzione del fatto) le ulteriori censure mosse dal ricorrente, quanto alla ritenuta violazione delle regole tecniche previste per l’esecuzione di manufatti quali la trave in cemento armato. Il giudizio reso sul punto dai giudici di merito non appare manifestamente illogico; ed è il ricorrente medesimo ad evidenziare che la gronda era perfettamente in sicurezza fintantoché rimaneva puntellata; come ignorando che il nodo cruciale, nella vicenda che qui occupa, è la mancata previsione di misure di sicurezza adeguate per il caso che i puntelli fossero eliminati prima della collocazione del tetto.
8. In conclusione, i ricorsi vanno rigettati ed i ricorrenti vanno condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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